Musiche per l’omonimo documentario di Massimo Mida per Oboe/corno inglese, clarinetto piccolo/sax contralto, sax tenore, tromba, trombone, chitarra [anche elettrica], percussioni, organo/pianoforte, voci
«La partitura è divisa in 14 numeri (le indicazioni sono trascritte dalla loro intestazione, salvo l’indicazione in ‘battute’ desunta dalla partitura; l’organico completo s’intende sempre senza voci, salvo diversamente indicato): n. 1 Titoli (2’), quanto viene notato vale in realtà come batt. 16 e sgg. (15 batt. del n. 14 + 25), organico completo; n. 2 Presentazione (1’15”) 20 misure, sax contr, sax te., chit., vibr., pf.; n. 3 Persone (53”) 21 misure, ob, tromba, trombone, chit.; n. 4 Oggetti (con sottofondo di rumori), 3 battute tutto l’organico + 3 batt. percussioni sole; n. 5 Barche e volti (43”), 8 batt., tutti meno le tastiere; n. 6 (Parri) (24”), 6 batt., tutto l’organico; n. 7 Violenza (53”), 16 misure, tutto l’organico; n. 8 Bomba a mano (57”), 10 batt., tutto l’organico con voci; n. 9 Inglesi, Iudia, Mexico (28”), 9 batt, tutto l’organico meno tromba e chitarra; n. 10 America (40”) 9 misure [poi portate a 8], corno ingl., sax ten., tromba, chit., perc.; n. 11 (28”), 12 batt., tutto l’organico; n. 12 Ponte e volti (54”), 9 batt., oboe, sax ten., chit. org. con voce; n. 13 Volti (1’30”), 19 misure, corno ingl., clarinetto, tromba, trombone, chit.; n. 14 (37”), solo 8 battute rimaste, tutto l’organico. Si dà l’incipit del n. 14 = n. 1 (ma, come da indicazione, a semiminima = 92).»
«Le musiche sono state composte per un documentario d’arte - per la regia di Massimo Mida (Massimo Puccini, sceneggiatore di molti film neo-realisti e apprezzato documentarista) e la produzione di Giorgio Patara - sull’opera pittorica e grafica dell’artista nonché attivista e divulgatore siciliano (Palermo, 1927), la cui opera presenta netti contenuti etici e umani e uno stile figurativo ma assai personale. Il documentario è stato presentato nel 1963 alla 24. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, e nello stesso anno ha ottenuto il premio Osella di bronzo per i documentari sull'arte (1963). Alcune informazioni assegnano l’anno di produzione 1960 al documentario, che tuttavia è stato presentato e premiato solo nel 1963; per di più, il testo di commento definisce Caruso – nato nel 1927 – ‘di 35 anni’, e perciò dovrebbe rimontare tutt’al più al 1962.»
«Dell’opera è conservata una partitura, sicuramente incompleta di un ultimo foglio, presso l’Archivio Guaccero. Sulla partitura manoscritta, oltre alle durate cronometriche dei 14 numeri (e a volte alla loro lunghezza in battute), sono indicati dei ‘titoli’ (in sostanza, riferimenti al contenuto delle inquadrature/sequenze cui le musiche erano destinate) che evidenziano alcuni temi cari all’opera pittorica di Caruso (la guerra e la violenza, l’oppressione e le pratiche disumane), e dei punti di ‘SINC’ (sincrono) su salienze musicali, evidentemente da far combaciare con salienze visive: la rispondenza con quanto si nota nell’audiovisivo è molto buona. L’organico prevede, oltre a quelle più consuete (oboe/corno inglese, pianoforte/organo, chitarra acustica e elettrica), anche una figura polistrumentale clarinetto/sax (non inconsueta a quel tempo, essendo il sax spesso suonato da clarinettisti di formazione), nonché un set di percussioni (un solo esecutore) abbastanza vario. Sul piano della costruzione musicale, si riconoscono alcune figure ricorrenti (in buona parte enunciate già nel n. 1 dei titoli, come il tema diatonico ma in un contesto poli/a-tonale che richiama lo Stravinskij dell’Ottetto e per alcuni aspetti dell’Histoire du soldat, o un tema quasi dodecafonico ritmicamente sghembo), che si possono associare a precisi contenuti visivi (alcuni volti, i temi più distesi, ma a volte enigmatici e sospesi; la violenza e i volti da quella deformati, il tema sghembo; gli oggetti, anche quelli tremendi di morte, un inciso fortemente ritmico; un episodio in stile Weill-Hindemith, quasi un ragtime – n. 9, le caricature degli alto-borghesi) come confermato sia dal testo audiovisivo, sia da annotazioni sul manoscritto. Come spesso in altri cortometraggi, una situazione visiva iniziale ritorna alla fine, e con essa un episodio sonoro: in questo caso, la musica degli ampi titoli di testa (dipinti su fogli bianchi dalla mano stessa di Caruso) si riascolta in parte nel finale, che illustra nei dettagli il vasto dipinto visibile sullo parete di fondo dello studio nel quale Caruso e alcuni suoi esegeti (tra cui Libero De Libero) s’intrattengono; la musica di commento della sequenza in studio è in effetti musicalmente più interlocutoria, degli incisivi, spigolosi e quasi fracassoni materiali avvicendati nelle sequenze esterne, tra i quali spicca appunto un tema in metri dispari su ostinato si marcia molto stravinskiano; il carattere grottesco si confà al grande dipinto, un’immagine di potere (una macchina istituzionale di lusso ripresa dal basso in primissimo piano, volti distorti dalla violenza) che però sembra alludere al’assassinio di Kennedy.» (Da http://www.guaccero.lim.di.unimi.it/)
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