T 2V 2Pf - 1959/60 - 5'30''/10'' - Semar Edizioni Musicali

Dettagli opera

Opera comune di Domenico Guaccero e Egisto Macchi.

Musica aleatoria e/o improvvisativa per combinazioni di 2 pianoforti, 2 violini e sax tenore concepito e composto congiuntamente da Guaccero e Egisto Macchi, suo stretto sodale nell'ambiente compositivo e organizzativo romano.
Pur presenti segmentazioni in battute in alcune delle sezioni 'costanti', il loro numero non è rilevante a causa della natura variabile della forma (e di conseguenza della durata del brano, essendo alcuni parametri da decidersi a cura degli interpreti su basi psicologiche o su scelte metronomiche libere).
Prima esecuzione il 17.3.1961, a Firenze, presso l’Auditorium del Conservatorio “Luigi Cherubini”, in occasione del progetto Vita Musicale Contemporanea, nella versione strumentale che vide Giuliana Zaccagnini Gomez e Paolo Renosto, pianoforti; Aldo Redditi e Luigi Gamberini, violini.


Commento all'opera

«Il brano può essere eseguito in 6 possibili combinazioni ottenute combinando (con un minimo di 2 elementi, e con la presenza necessaria di almeno uno dei pianoforti) i 2 violini sempre accoppiati, il sax tenore, il primo pianoforte e il secondo pianoforte. Per ciascuna combinazione possibile, gli autori hanno predisposto uno schema degli episodi (con durata crescente quanto maggiori sono gli elementi esecutivi coinvolti, da un minimo di 5’30” per la versione sax e 1 pf a un massimo di oltre 10’ per la versione con tutto il quintetto), che prevede ampie zone solistiche. Queste sono legate, nella confezione della partitura (vedi scheda del ms.), ai 6 riquadri con notazione più o meno determinata (sezioni ‘costanti’), che attorniano il riquadro con gli schemi per le sezioni ‘variabili’, ovvero improvvisative sulla base di materiale di altezze (le 12 note del totale cromatico) già predisposto in schemi da bicordali a esacordali, nonché di comportamenti timbrici, dinamici e di durata regolati a grandi linee. Il brano è il primo, nella produzione di Guaccero (e di Macchi), a far proprie modalità caratterizzanti all’epoca la cosiddetta ‘opera aperta’. Oltre che una complessa istruzione esecutiva, la ‘Premessa’ (co-firmata dai due autori) si conclude con espressioni di orientamento poetico-estetico: “Nello spirito di tale ‘apertura’ […] si è svolta la collaborazione tra i due autori. Essa è consistita nella elaborazione comune delle idee, codificate negli ‘schemi’, e nella composizione dei brani per i vari strumenti interamente scritti, che sono raggruppati per ciascuno dei due autori in una delle due pagine del ‘testo’. Gli ‘Schemi’ sono opera in movimento e a realizzarla per ogni esecuzione sono deputati gli interpreti, sollecitati, per dovere intervenire attivamente nella ‘composizione’ del pezzo, a rendersi conto delle ragioni delle nuove tecniche compositive. Dal concorso di autori e interpreti (o di autori-interpreti) la lingua e l’ ‘opera’ musicale avrà tutto da guadagnare”.» (Da http://www.guaccero.lim.di.unimi.it/)
«Ho avuto occasione alla metà degli anni novanta di lavorare a Palermo presso il Centro per le Iniziative Musicali in Sicilia (CIMS) e di consultare il prezioso fondo di lettere, in particolar modo il carteggio Macchi/Titone, così decisivo ai fini della ricostruzione del paesaggio romano degli anni 1959-61.(Le ricerche furono a suo tempo avviate in vista della compilazione del lavoro monografico curato dalla scrivente su Egisto Macchi (cfr. Egisto Macchi, «Archivio Musiche del XX secolo» cit.). Com’è noto il CIMS non esiste più e il prezioso fondo è oggi disponibile per la consultazione presso la Biblioteca Comunale di Palermo). Posso senz’altro qui rammentarne alcune linee fondamentali, in senso più generale quel procedere in sintonia dialettica dei pensieri e delle opere all’interno del sodalizio romano-palermitano, vale a dire quel processo di crescita adiacente di opere rivista e gruppo che finisce per tramutarli tutti in un unico laboratorio di sintesi concettuale e operativa al tempo stesso. Questa affermazione vale ovviamente per l’intera sezione dei musicisti romani ‘nuovoconsonanti’, vale a dire – ripetiamolo – per Evangelisti, Bortolotti, Guaccero, Macchi, Paris, ma in modo del tutto particolare e atipico – direi – per Domenico Guaccero ed Egisto Macchi, che dettano nello stesso tempo il loro primo contributo teorico di rilievo per la rivista «Ordini», di cui sono cofondatori insieme a Evangelisti e Titone, i lavori gemelli (rispettivamente Un iter segnato e Composizione 3) che segnano l’ingresso ufficiale dei due autori nella storia della neoavanguardia musicale italiana, composizioni entrambe eseguite a Palermo nel 1960, nel corso della prima Settimana internazionale Nuova Musica,( cfr. ANTONINO TITONE, Musicisti italiani alla prima “Settimana” di Palermo: problemi di forma e di linguaggio, in di Franco Evangelisti e di alcuni nodi storici del tempo, Roma, Nuova Consonanza editrice, 1980, pp. 25-45: 34sgg.) e infine, a quattro mani, il lavoro collettivo Schemi per combinazioni di due pianoforti, due violini e sax tenore (1959-60), vero e proprio punto di rottura, di non-ritorno rispetto alla cosiddetta fase seriale nella produzione precedente di entrambi. Gli accenni a questo lavoro nel carteggio Macchi/Titone non ci aiutano a decifrare la motivazione originaria cui attribuire la genesi di questa insolita partitura, collocata – tra l’altro – nella cronologia delle opere di entrambi in una fase ancora aurorale dal punto di vista dell’adozione di un pronunciato sperimentalismo. Macchi scrive a Titone in data 16 aprile 1959:
“[…] CONCERTI SIMC – Si faranno e verranno registrati dalla RAI per essere poi ritrasmessi. […] Naturalmente cresce l’impegno di tutti noi a fare il meglio possibile particolarmente per quanto concerne me e Domenico che ci cimenteremo con un pezzo decisamente sperimentale. Oggi stesso arriverà a casa mia il 2° pianoforte su cui ci eserciteremo.”(Lettera di Egisto Macchi a Nino Titone, Roma, 16.IV.1959)
All’incirca due anni più tardi Macchi racconta al medesimo interlocutore gli esiti della prima turbolenta esecuzione del lavoro:
“A Firenze gli Schemi hanno suscitato una violenta battaglia in sala, durata dieci buoni minuti fra fischiatori e sostenitori con il risultato di bissare il pezzo su votazione del pubblico (erano state disposte delle urne, una per ogni composizione e la più votata avrebbe avuto diritto alla seconda esecuzione). Il lavoro è interessante e ricco di possibilità […]”(7 Lettera di Egisto Macchi a Nino Titone, Roma, 21.III.1961)
La partitura nella sua forma definitiva si compone di due grandi fogli organizzati a riquadri, ciascuno provvisto di una ben definita destinazione strumentale; al centro dei due fogli compare un’icona riassuntiva con le combinazioni possibili e i vari elementi in gioco.Alla partitura è allegata una corposa Prefazione che occupa l’altro foglio annunciato: si tratta di un lungo testo che, nel sostituirsi ai comuni legenda per la decodificazione dei simboli impiegati, finisce per essere non soltanto uno strumento necessario all’esecuzione del lavoro, ma anche un’operazione di concettualizzazione, di formalizzazione degli intenti dei due autori. Un formulario piuttosto complesso introduce alle particolari modalità di combinazione dei suoni e degli intervalli (l’impiego di due coppie di esacordi simmetrici con l’individuazione di ben quindici bicordi possibili all’interno di ciascuno di essi, distribuiti poi in gruppi individuabili mediante lettere e cifre in una tabella), a una catalogazione delle possibilità timbriche degli strumenti, alla definizione di una scala delle intensità che tenga conto del dato psicofisiologico e infine alla «disposizione nel tempo» (con l’alternanza di durate psicologiche e durate metriche). Una seconda tabella contiene le indicazioni relative alle sei versioni possibili degli Schemi, così introdotte: «Il pezzo può presentarsi in varie versioni a seconda del numero degli strumenti usati. Esso consta di una successione obbligata di sezioni costanti e variabili. Le sezioni costanti hanno fisse durata e scrittura (almeno per la parte affidata ad uno strumento);le sezioni variabili hanno durata e scrittura variamente mobili […]». Ulteriori dettagli, utili ai fini dell’esecuzione del lavoro, si ricavano dal paragrafo successivo della Prefazione ove si precisano le modalità di combinazione delle parti variabili e di quelle costanti e inoltre i meccanismi di derivazione delle une dai ‘pacchetti sonori’ predisposti in partitura, oltre che dagli schemi improvvisativi collocati nel riquadro posto al centro dei due fogli:
“[…] L’inserimento nel pezzo di sezioni variabili da improvvisarsi interamente mira a spostare sino al limite la sperimentazione dell’aleatorio, sino alla negazione completa del testo scritto, sino alla negazione dell’opera. Oltrepassato questo momento negativo, potremo però incontrare una lingua musicale liberata da superfetazioni calcolatorie e più vicine alla realtà dei suoni;l’improvvisazione può mostrare a questo punto il suo lato positivo,che è di evitare la chiusura in posticci labirinti mentali e di aprirsi ad una immediatezza senza orpelli. Nello spirito di tale apertura, consci del “pericolo” di saggiare di fronte all’esecutore la “propria”tecnica,si è svolta la collaborazione fra i due autori.Essa è consistita nella elaborazione comune delle idee,codificate negli “schemi”,e nella composizione dei brani per i vari strumenti interamente scritti,che sono raggruppati per ciascuno dei due autori in una delle due pagine del “testo”.Gli Schemi sono opera in movimento e a realizzarla per ogni esecuzione sono deputati gli interpreti, sollecitati, per dovere intervenire attivamente nella “composizione” del pezzo, a rendersi conto delle ragioni delle nuove tecniche compositive.Dal concorso di autori e interpreti (o di autori-interpreti) la lingua e l’opera musicale avrà tutto da guadagnare.” (Prefazione alla partitura in Domenico Guaccero – Egisto Macchi, Schemi per combinazioni di 2 pianoforti, 2 violini e sassofono tenore (1959-1960), Roma, Semar Edizioni Musicali, 1994)
L’opera nasce dal cimento compositivo-esecutivo dei suoi autori e appartiene già all’ambito delle esperienze collettive romane degli anni sessanta: Guaccero e Macchi hanno fondamentalmente sperimentato su se stessi, hanno tradotto in gesti esecutivi estemporanei, ancor prima di affidarli alla pagina scritta, le proprie intenzioni compositive, trasformando queste in quelli e viceversa, e così facendo hanno immaginato un’«opera in movimento», un’opera in fuga rispetto al testo, ancora appesantito dalla ricaduta dei ridondanti processi di calcolo combinatorio, un’opera-manifesto capace di ‘formare’ una generazione di interpreti (di compositori-interpreti) allenati al nuovo proprio mediante il discernimento delle nuove metodiche compositive. Per entrambi, una sorta di prefigurazione della imminente esperienza improvvisativa all’interno del Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza (per Macchi) e, poco dopo, dei gruppi Musica ex Machina e Intermedia (per Guaccero).» (da Domenico Guaccero. Teoria e prassi dell’avanguardia. Atti del Convegno Internazionale di studi. Roma, 2 – 4 dicembre 2004. A cura di Daniela M. Tortora)


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