di Zermani, Andrea

SAX. Lo strumento del mito

Teoria - 2003 - Arnoldo Mondadori Editore

Dettagli opera

«Questo bellissimo volume, corredato da oltre 200 stupende immagini, presenta la storia, le caratteristiche, le curiosità che fanno del saxofono un protagonista dell'immaginario contemporaneo.
Ultimo strumento meccanico della storia, il sax è diventato oggetto di culto per musicisti e appassionati.»


Commento all'opera

«Il Sax lo strumento del Mito: una chiacchierata con Andrea Zermani
Una sera, al Milestone, aspettando l’inizio di un concerto, ho incrociato Andrea Zermani. Una parola tira l’altra (chi mi conosce sa che non mi tiro di certo indietro) e scopro che Andrea è autore di un libro sul saxofono. Aspettando il concerto comincio a sfogliarlo. Si intitola: “Sax: lo strumento del mito”. Rimango colpito dai contenuti, dalla forma, ma, soprattutto dalla assione dell’autore che traspare immediatamente.
Nei giorni successivi chiamo Andrea (nato a Piacenza, musicista e musicologo, diplomato in clarinetto presso il conservatorio “G. Nicolini”” e laureato in Musicologia, con una tesi sul saxofono) per farmi raccontare da dove nasce l’idea di questo libro.
D.: Ci incontriamo tra una lezione e l’altra al Milestone dove insegna. Non faccio in tempo a sedermi che inizia a raccontare, con entusiasmo, di questo strumento, il Sax che lui definisce “lo strumento del mito”. Spiegami perché lo definisci così!
R.: Per me il saxofono è una delle invenzioni più innovative che ci siano state in ambito musicale. Non è possibile equipararlo a nessun altro strumento, ed è detentore di alcuni primati. E’ l’ultimo strumento meccanico ad essere stato inventato. Dopo di lui le novità hanno riguardato l’elettronica. Ma è anche l’unico strumento, a differenza di tutti, ad essere ancora oggi uguale a quello progettato dal suo ideatore, un vero genio non solo in campo musicale, per le sue invenzioni: Antoine-Joseph Sax, meglio conosciuto come Adolphe Sax.
D.: Il saxofono (e Andrea sottolinea che in Italia commettiamo un grosso errore continuando a chiamarlo Sassofono e non Saxofono) ha subìto solo qualche modifica dal punto di vista delle meccaniche, per aumentarne la maneggevolezza, che non hanno minimamente influito sulla qualità o differenza del suono dello strumento progettato da Sax.
Il tuo libro parte proprio dal suo inventore, sembra che tutto il libro sia un suo elogio.
R.: Il libro nasce dalla mia laurea in musicologia proprio sul saxofono che mi ha portato ad approfondire tutto l’ambito di questo strumento a partire dal suo inventore che ritengo un vero e proprio genio non solo in campo musicale. E’ vero questo libro, è indissolubilmente legato alla mia ammirazione per questa persona, che è aumentata via via che procedevano gli approfondimenti per la tesi.
D.: Quindi il libro è la tua tesi di laurea.
R.: Non proprio. Certo che molti contenuti sono presi dalla tesi, ma il libro ha cercato di andare oltre. Cercando di dare una visione ancora più ampia che partisse dal suo inventore “Sax” per tracciarne le vicissitudini, la gloria iniziale, le difficoltà dovute all’invidia di altri musicisti, ma anche, chiaramente alla mancanza di un repertorio musicale adeguato. Al suo declino in Europa e alla sua rinascita negli Stati Uniti e all’esplosione mondiale.
Il libro è anche frutto dell’incontro con Paul Cohen (grande musicista e anch’esso scrittore di diversi saggi sul saxofono) che mi ha aperto lo sguardo su particolari tipi di saxofoni che sono stati costruiti negli anni, ma mi ha messo in contatto con tanti musicisti e appassionati questo strumento.
D.: Non è quindi giusto leggere questo libro pensando descriva la storia del Saxofono
R.: Sarebbe limitativo. Il libro lo descrive nel suo complesso. Partendo dalle origini per tracciarne i contorni attraverso l’uso che ne è stato fatto, passando attraverso i grandi musicisti che ne hanno fatto la storia, ma nelle persone illuminate che hanno fatto si che il saxofono divenisse strumento degno di essere studiato nei conservatori.
Nel suo insieme posso tranquillamente dire, che questo è l’unico libro con questo approccio. Esistono tanti libri che parlano del saxofono ma, mi piace sottolineare, che non esistono di eguali, tanto che ho nel cassetto la sua traduzione in inglese per una pubblicazione non solo in Italia, ma su più vasta scala.
D.: Andrea è irrefrenabile e ho il mio bel da fare a contenerlo nel suo desiderio di cercare di trasmettermi la bellezza e la passione per questo strumento. Tra le altre cose che ho scoperto leggendo il libro di Andrea, mi piace sottolineare che la rinascita e la consacrazione nell’elite degli strumenti insegnati nei conservatori da parte del saxofono è dovuta ad una donna. “Lady-Sax” Elise Boyer, che, instancabile promotrice di Sax, commissionò a Claude Debussy un’opera degna del saxofono: “Rapsodie pour orchestre e saxophone”. Questa opera, insieme al talento di un grande virtuoso del saxofono (Marcel Mule) sancirono l’apertura di un corso di insegnamento nel conservatorio di Parigi (1942) e quindi la sua definita consacrazione.» (intervista del 2013 su http://www.piacenzamusicpride.com/)

«Prima nuova ed esclusiva intervista per Ilsaxofono.it realizzata da Silvano "Blue Train" Medicina ad un grandissimo conoscitore del nostro strumento sul quale ha scritto anche l'ottimo libro "Sax: lo strumento del mito": Andrea Zermani.
D.: Musicista, Musicologo, Riparatore e personalizzatore di strumenti a fiato, scrittore ... In effetti dimostri un certo eclettismo! Vuoi raccontarci qualcosa su queste attività? Procediamo con ordine, quando e come è iniziato il tuo amore per il saxofono?
R.: Il mio primo contatto con un saxofono avvenne nell’ormai lontano 1989, quando, studente di clarinetto presso il Conservatorio di Piacenza, trovai sulla bancarella di un mercatino un vecchissimo sax soprano argentato prodotto in Germania Est negli anni ’30. Non vi dico i commenti sarcastici che fecero tutti quelli a cui lo mostravo per avere un parere; beh, oggi quello è ancora il mio primo strumento, dopo aver vinto il confronto con parecchi illustri colleghi.
All’epoca non lo potevo sapere, ma, oltre al timbro, che a me è sempre piaciuto, il mio soprano era dotato di un sistema di chiavi doppio per le note gravi che più tardi rividi su strumenti Evette & Shaeffer: insomma, il caso mi aveva fatto incontrare come primo sax uno strumento vintage con un sistema di chiavi custom; strano, non ti pare? (chi ha il mio libro lo può vedere a pag. 83).
D.: Che studi hai seguito?
R.: Pur avendo cominciato a suonare da giovane la chitarra, l’idea di dedicarmi alla musica è maturata tardissimo. La scelta del clarinetto è stata inizialmente “strategica” in quanto, data la veneranda età alla quale cominciavo, mi sembrava uno strumento in grado di offrire diverse opportunità, in un mondo, quello della musica, che per me era assolutamente ignoto.
In realtà, con il clarinetto fu subito amore; pur appartenendo, infatti, alla schiera degli strumenti “classici”, si differenziava tuttavia dai suoi più antichi colleghi per la storia rocambolesca, misteriosa e, tutto sommato, baciata dalla fortuna che lo aveva consacrato.
All’epoca, concluso il liceo classico, ero anche studente di Ingegneria; evidentemente però la mia anima era votata alla musica e, chiusa dopo qualche anno la parentesi scientifica, mi sono iscritto alla Facoltà di Musicologia dell’Università di Pavia, con sede a Cremona. Pur avendo, all’epoca, un taglio prettamente specialistico e dedicato in particolare alla paleografia musicale, è stato per me un percorso ricco di stimoli e in grado di strutturare in me una visione molto ampia della storia della musica e degli strumenti musicali.
D.: Sei anche docente di corsi sulla manutenzione e riparazione del saxofono, cosa puoi raccontare al riguardo, cosa consiglieresti a chi volesse intraprendere questa professione?
R.: La riparazione prima e il restauro di strumenti a fiato poi, hanno avuto nei miei strumenti le prime “cavie”: ho sempre avuto bisogno di “entrare” negli oggetti, per capirli fino in fondo, per poterli adattare, quando possibile, alle mie esigenze e sono sempre stato convinto che una buona conoscenza tecnica e una confidenza meccanica con lo strumento siano risorse molto importanti per un musicista; gli permettono di essere protagonista del proprio suono, della propria “voce”. Io mi ritengo un privilegiato, dal momento che, per me, l’uso artigianale delle mani è sempre stata una dote innata che mi porta a smontare e riparare di tutto, dagli orologi, alle auto d’epoca fino agli strumenti musicali, per cui non faccio testo.
Tuttavia, l’esperienza su questi ultimi si è affinata nel tempo, sperimentando continuamente, incrociando le esperienze maturate in altri ambiti artigianali, e grazie ad alcuni incontri fortunati, spesso casuali. Mentre infatti nei paesi a noi vicini, o ancor più negli Stati Uniti, riparare strumenti a fiato è certamente un lavoro e in parecchi casi addirittura un’arte, da noi l’intervento di riparazione è spesso a corredo di un’attività commerciale e, in quest’ottica, raramente di qualità.
Il pubblico molto spesso si accontenta, non sapendo che cosa può chiedere ad un artigiano e sottovalutando la delicatezza e la qualità necessarie per svolgere un lavoro “a perfetta regola d’arte”. Il primo passo, a mio modestissimo parere, è perciò quello di educare i musicisti rispetto a ciò che possono aspettarsi dal buon artigiano, perché siano loro i primi a cercare la qualità, sapendo scegliere. Questa consapevolezza, poi, aiuterà certamente la nascita di nuove professionalità e, magari nel tempo, anche di qualche scuola. Anche l’aspetto strettamente fiscale è fonte di problemi: provate ad aprire una partita IVA come “riparatore di strumenti a fiato”; non essendo considerata una professione, vi caccieranno in una categoria artigianale generica con tutti i problemi gestionali e burocratici ad essa connessi. In Italia, pertanto, non c’è una scuola e, se si è fortunati, si può andare “a bottega” da uno dei pochissimi artigiani veramente capaci. Ho parlato di strumenti a fiato in genere, ma se si entra nello specifico del saxofono, il campo si restringe ulteriormente.
Chi volesse imparare il mestiere, perciò, dovrebbe a mio avviso, andare all’estero, ad esempio in Francia, presso la Buffet&Crampon a Mantes la Ville, dove la preparazione è sempre stata molto seria e professionale, oppure negli Stati Uniti, frequentando gli stage organizzati dalla NAPBIRT (National Association of Professional Band Instrument Repair Technicians Inc., con sede a Normal, Illinois, U.S.A.), che è un’associazione che rappresenta molti degli artigiani dediti alla riparazione e al restauro degli strumenti a fiato; negli “States”, essere un riparatore NAPBIRT è oggi sinonimo di qualità. La mia esperienza come docente in alcuni seminari sulla riparazione degli strumenti a fiato è stata resa possibile grazie all’iniziativa personale di alcuni insegnanti che ritenevano importante dotare i propri allievi di alcuni strumenti di base che gli permettessero di non rimanere in “panne” magari per motivi futili e di non poter studiare nell’attesa dell’intervento del riparatore. Ci sono anche dei manuali con kit per il fai da te, reperibili on-line: a mio avviso vanno bene se li si affronta, però, sotto una guida, onde evitare equivoci e, di conseguenza, danni.
D.: Parliamo del tuo testo “Sax lo strumento del mito”, un libro che “deve” essere presente nello scaffale del Saxofonista, com’è nato?
R.: Il libro è nato da una chiacchierata con un caro amico, Roberto Ottaviano, che un giorno di tanti anni fa mi disse che sarebbe stato interessante approfondire lo studio sui saxofoni sperimentali perché si trattava di un argomento da noi totalmente sconosciuto, anche da parte degli addetti ai lavori. Detto - fatto, cominciai a documentarmi e mi successe che, pian piano, più mi immergevo nel contesto storico che aveva generato tutti questi “freaks”, più rimanevo affascinato dalla genialità di colui che aveva infuso per primo il soffio della vita in quel cono di ottone; attraverso lo studio delle sperimentazioni sviluppatesi intorno alla sua creatura, io riuscivo ad apprezzare sempre più il suo inventore.
L’artigiano che c’era in me provava un’incredibile simpatia e una straordinaria stima per la genialità e la purezza dell’inventore belga. Quello che mi piaceva in particolare era il fatto che le sue doti fossero prima di tutto al servizio della musica, della qualità di ciò che faceva e non, come spesso avveniva per i suoi detrattori, di semplici interessi commerciali. Non voglio fare della banale retorica, poiché è incontrovertibile che senza una buona capacità commerciale anche la migliore delle idee è destinata a faticare parecchio per farsi conoscere, ma il fatto è che, se Sax non fosse stato l‘uomo che era, il saxofono non sarebbe lo strumento che noi tutti amiamo; eccezionale come il suo inventore. E’ stato questo il clima spirituale in cui ho deciso di cominciare a scrivere. Volevo contribuire a celebrare la grandezza di Adolphe Sax, esaltandola proprio attraverso gli innumerevoli, e falliti, tentativi di superarlo. Volevo che ogni musicista potesse vedere con i propri occhi il mondo che ruotava intorno al sax nei primi trent’anni del ‘900 e vivere, anche se solo con l’immaginazione, un po’ di quella “saxophone craze” che lo rese lo strumento più venduto al mondo. Volevo che ogni saxofonista potesse aggiungere al proprio bagaglio tecnico e strumentale l’orgoglio di suonare un saxofono!
Si, perché ricordate bene tutti che la sua storia è assolutamente unica e non paragonabile a quella di nessun altro strumento al mondo. Sono premesse importanti per chi lo leggerà, poiché non si tratta di una semplice storia del saxofono, ma più precisamente della celebrazione di un uomo e della più famosa tra le sue invenzioni, tanto perfetta da riuscire a sopportare, intatta, l’assalto di più di 150 anni di storia. La sua incredibile forza, timbrica e iconografica, gli ha consentito di respingere molte delle alternative che, nella maggior parte dei casi, sono rimaste, seppur affascinanti, solo cattedrali nel deserto (ad es. il Conn-O-Sax o gli innumerevoli “Slide Saxophones”). Alcuni di questi esperimenti, poi, avrebbero a mio avviso meritato il giusto riconoscimento, perché indubbiamente validi. A volte, però, le esigenze produttive di tipo industriale, hanno dettato le regole a prescindere dal buon senso (ad es.il contralto di Allen Loomis, o il Grafton in plastica).
In quest’ottica, risulterà chiaro al lettore perché, nel mio libro, non si citano tutte le case costruttrici, ma solo quelle che nel loro percorso storico, hanno osato, sperimentato e tentato di reinventare il saxofono per proporlo nei modo più accattivanti possibili all’enorme mercato che, soprattutto nei primi trent’anni del 1900, assorbiva più strumenti di quanti si riuscisse a produrne.
Infine, volevo affermare il rispetto per la corretta etimologia del nome del nostro strumento, ribadendo che il “sassofono” non esiste! Esiste invece il “saxofono”, il “suono di Sax”, che, soprattutto negli ambienti accademici, andrebbe rispettato, come avviene in ogni altro paese del mondo.
D.: Nel libro si apprezza la ricca documentazione, sappiamo che hai girato Europa e Stati Uniti per raccogliere informazioni ... Hai qualche aneddoto che vuoi raccontare? Persone che ti hanno maggiormente impressionato?
R.: Il libro mi ha certamente permesso di entrare in contatto con persone assolutamente uniche e di stringere amicizie destinate a durare nel tempo. Devo tantissimo a Paul Cohen, grazie al quale ho potuto penetrare a fondo il mondo dei saxofoni sia dal punto di vista storico che tecnico. Lo contattai tramite la rivista americana Saxophone Journal e, dopo qualche mese, partii per gli Stati Uniti per studiare la sua enorme collezione. Nel periodo in cui ho vissuto a casa sua, dormivo in compagnia di 280 saxofoni! Le custodie riempivano ogni vano della casa e c’era veramente qualunque strumento si potesse immaginare; ricordo anche una vecchia cassettiera da archivio piena di centinaia di imboccature ordinatamente divise per taglia e materiale.
E’ stata un’esperienza indimenticabile. Ho conosciuto Joe Sax, amicissimo di Paul, che, oltre a essere un ottimo tecnico, era specializzato nella compravendita di strumenti vintage; e poi, Nissim Malki, Claudio Fasoli, Gianni Mimmo, Roberto e Claudio Zolla, Ermenegildo Perin, Roger Petit, François Louis, Wayne Tanabe, Pete La Placa e altri “visionari” con i quali ho potuto stringere amicizie sincere, perché saldate dalla purezza della passione.
Nel 2004, poi, il mio libro è stato tradotto e pubblicato in Francia dalla casa editrice Gründ (“Saxo, L’instrument mythique”) e questo mi ha permesso di entrare in contatto con molti musicisti d’oltralpe.
D.: Hai in mente un seguito del libro "Sax, lo strumento del mito"? Ad esempio un testo sulla manutenzione e riparazione potrebbe essere interessante...
R.: Dal momento che attualmente il libro, oltre che in Italia è disponibile nei paesi di lingua francese, grazie alla traduzione dell’editrice Gründ, il mio obiettivo al momento è di trovare un editore interessato a pubblicarlo in Inghilterra e Stati Uniti; ci sto lavorando. Al manuale, invece, non ho mai pensato, forse perché ne esistono già tanti in lingua inglese che, forse, basterebbe una traduzione; chissà.
D.: Ovviamente conosci molto bene la storia del sax, come vedi il suo futuro? Ci potranno essere sviluppi o novità?
R.: Riguardo al futuro del sax, vi dirò che é tempo di saxofono! Come sostiene anche l’amico, ottimo saxofonista e tecnico raffinato, Gianni Mimmo, da alcuni anni si assiste in Italia a un continuo crescere di interesse verso questo strumento. Fino a pochi decenni or sono, il sax veniva accostato e studiato solo da un pubblico molto ridotto, mentre oggi esso viene considerato e approfondito da un pubblico decisamente più vasto.
Tra gli strumenti a fiato, poi, il saxofono è ancora quello che più di tutti stimola la fantasia creatrice dei costruttori e che, come nei “twenties”, ancora oggi è protagonista assoluto delle vetrine e dei cataloghi delle enormi case produttrici d’oriente, alle quali, poi, si possono aggiungere i nuovi e professionali “brand” come Paul Mouriat, Oleg o Cannonball.
D.: Tra le tue attività nel campo strumentale una è particolarmente intrigante: il trattamento criogenico sugli strumenti a fiato e sul Saxofono in particolare, puoi dare ulteriori dettagli su questa tecnica?
R.: Il trattamento criogenico a bassissima temperatura è una tecnologia di derivazione aerospaziale brevettata negli Stati Uniti e indirizzata principalmente all’industria meccanica in quanto particolarmente efficace su gran parte degli acciai. Scopo del trattamento criogenico a bassissima temperatura è di aumentare la resistenza meccanica e la resistenza all’usura su componenti meccanici di varia natura (ingranaggi, utensili, motori ecc.). Tuttavia, essendo disponibile sul mercato civile americano da una ventina d’anni, sono stati condotti numerosi test anche su materiali sintetici e materiali non ferrosi, tra cui l’ottone, per valutarne l’efficacia. Si è così potuto notare che, trattando uno strumento di ottone, è possibile apprezzare una maggior spontaneità, una duttilità timbrica migliore. Le ragioni di questo risultato risiedono nella capacità del freddo (-300°F) di ridurre le tensioni superficiali lasciate sulla lastra dalle numerose lavorazioni cui essa è sottoposta in fase di produzione, permettendo quindi alla lastra di vibrare in maniera più omogenea. Il saxofono, nel passare da lastra piana a strumento finito, subisce decine di lavorazioni “pesanti”: martellatura, trafilatura, saldatura, estrusione, formatura, fresatura, lucidatura, ecc. Ognuna di queste, lascia allo strumento una o più contratture che sono alla base di quella “rigidità” tipica dello strumento nuovo.
Naturalmente, lo strumento, grazie all’utilizzo, si “scioglie” nel tempo, riducendo gli effetti di alcune di queste “zone d’ombra”, e lo fa grazie alle vibrazioni che insistentemente agiscono in alcuni punti specifici, mettendoli nella condizione di vibrare sempre più liberamente. Non tutti i nodi si sciolgono, però, e allora ecco che il trattamento criogenico a bassissima temperatura fa il resto, rendendo più omogenea la struttura della lastra per tutto il suo sviluppo e permettendo così al canneggio di vibrare al meglio. Non solo, il freddo estremo ha un’ottima influenza sulle saldature che si omogeneizzano meglio con le parti saldate, per cui anche la meccanica modificherà sensibilmente il suo modo di vibrare.
Un’altra condizione di impiego particolarmente adatta è in presenza di strumenti incidentati: qualora la lastra subisca operazioni di rettifica, perché ad esempio si è storta la culatta, o la campana oppure il fusto, la criogenia ridona allo strumento la stessa capacità di vibrare che aveva prima.
Concludendo:
- non pensiate che uno strumento trattato criogenicamente suoni meglio di uno non trattato! Sapete tutti che ogni saxofono è diverso da un altro della stessa marca e della stessa serie, per cui la cosa va valutata caso per caso.
- se il vostro sax suona come meglio non potreste sperare, non è necessario pensare di criogeneizzarlo! Tuttavia, se voleste dare al vostro strumento qualche “cavallo” in più oppure se c’è qualche armonico che non esce spontaneamente come dovrebbe, vale la pena di sperimentare questa tecnologia.
- il trattamento criogenico, restituisce allo strumento una maggior volontà di vibrare e lo rende più sensibile e più duttile, timbricamente, tra le vostre mani; è un po’ come se, a una Ferrari di Formula 1 modificaste i parametri di guida, adattandoli perfettamente alle esigenze del pilota che la dovrà guidare.
Siccome poi, da quando mi occupo di questa scienza, ho letto dibattiti accesi su alcuni forum, più o meno scientificamente supportati che, anche se indirettamente, riguardavano proprio la tecnologia da me applicata, al fine di sgomberare il campo da ogni equivoco, permettetemi di aggiungere che;
- ho iniziato anni fa a studiare questa tecnologia per diletto personale e l’ho ampiamente sperimentata sui miei strumenti.
- avendone potuta verificare l’efficacia, sono partito per gli States per studiarla sul campo e approfondirla e, appena mi è stato possibile, ho acquistato un processore di ultima generazione presso la più importante azienda del settore (300Below), che mi fornisce costantemente supporto e aggiornamento tecnico e scientifico.
- applico il trattamento criogenico in diversi settori industriali, per cui non campo trattando gli strumenti musicali: dico questo perché sia chiaro che si tratta semplicemente di un’opportunità che sono in grado di offrire, primo in Europa, a tutti i musicisti, saxofonisti e non, che pensano potrebbero trarne benefici, come ne ho tratti io.
- si tratta di una tecnologia i cui primi brevetti ufficiali risalgono al 1973 e che, negli Stati Uniti, è sul mercato civile ormai da vent’anni.
- sono stato il primo in Italia e in Europa ad applicarla, per cui, se qualcuno vi racconta di aver fatto trattare criogenicamente il suo strumento e non da me, o mente o lo hanno gabbato.
Sarebbero ancora moltissime le cose da dire e le mie personali esperienze da raccontare, ma prenderei troppo spazio; chi ne vuole sapere di più mi può scrivere o ancor meglio telefonare e io sarò ben lieto di soddisfare ogni sua curiosità. Ad oggi ho criogenizzato circa 230 strumenti, tra ottoni e legni e, tra coloro che si sono gentilmente prestati, i miei testimonials sono musicisti come Andrea Tofanelli, Gianni Mimmo, Gianni Azzali,, Mino Rizzi, Mattia Cigalini, Gabriele Zazzi, Rudy Migliardi, Simone Zanacchi, Tino Tracanna, Salvatore Dattilo, Nicola Digrumo, Lorenzo Maviglia e Michele Valerio, per citarne solo alcuni.» (intervista da http://www.ilsaxofono.it)

 


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