di Annunziata, Alessandro

Quartetto per saxofoni n.1

Q - 2010 - 22' - Rai Com Edizioni Musicali - 3704

Commento all'opera

«Ho scritto il mio Quartetto per saxofoni N.1 fra il 2009 e i primi mesi del 2010. Negli ultimi anni, anche grazie alla collaborazione di ottimi sassofonisti in Italia e Francia, ho potuto accostare questo strumento interessantissimo, componendo alcuni lavori. La plasticità, la pastosità del timbro del sassofono, la gamma vastissima di possibilità espressive e la varietà delle diverse articolazioni mi hanno colpito fin dall’inizio, suggerendomi molte idee. Anche grazie alle scoperte tecniche degli ultimi trenta o quarant’anni, allo sviluppo di diverse “scuole” esecutive, come quella di Londeix in Francia ma non solo, il sassofono è finalmente uscito da quella gabbia in cui si era trovato circoscritto per anni, quando lo si considerava, in fondo, un fratello minore dei fiati tradizionali. Il Jazz lo aveva valorizzato, sì, ma (salvo rari casi) in un’ottica tutto sommato ristretta e molto caratterizzata, anche timbricamente, mentre la musica “colta” lo guardava con sospetto, con una certa ritrosia, pur avendolo ormai accettato, per esempio in orchestra, da tempo.
Devo moltissimo, nel mio interesse per il sax, all’esempio del compositore Dimitri Nicolau, al quale il mio Quartetto è dedicato, anche come omaggio ideale alla nostra amicizia: la sua lezione è stata davvero di fondamentale importanza, e lo dimostra il vivo interesse che la sua musica per saxofoni continua a suscitare in tutta Europa e oltre. Il brano è molto esteso e vario, articolato in un unico movimento suddiviso al suo interno in diversi episodi che sfociano uno nell’altro, ricchi di immagini e suggestioni diverse: si parte da un’introduzione vivace e abbastanza “selvaggia”, cui segue un “madrigale” lento, dove prende vita un denso dialogo fra i quattro strumenti; si passa poi a uno “scherzino” un po’ danzante e ritmico. Il quarto episodio è di nuovo molto cantabile, quasi una canzone dal vago sapore jazz, per conflure poi, come un percorso emotivo interiore, nel finale con il suo ritmo “alla greca”, un tipico andamento caro a Dimitri.»


 

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