«Il rimbombo dell’essere solo.
Lento affluire dei rumori e dei gridi - della mente.
Eco straordinaria.
Da questo luogo...
Paul Valéry
… mi interessa la specificità del corpo strumentale, lo strumento come punto di fuga, verso il quale una lettura del mondo, sonoro, si orienta: mi attrae come possa venire attraversato dalle correnti più impensate, dalla tradizione al più spinto sperimentalismo e il suo corpo rimanere inalterato. Cosa distingue per me uno strumento musicale da un oggetto sonoro é proprio questa capacità di contenere manifestazioni anche molto diverse fra loro e, attraverso l’unità del corpo vibrante, di riuscire a modularne la locale specificità arrivando a creare una continuità fra gli estremi impensabile .
La scrittura solistica é sempre stata un luogo particolare, un distillato, continuamente in bilico fra l’ascesi e il fuoco di artificio; due ordini di difficoltà differenti, con qualche tratto di continuità fra loro. Valery diceva “ ascesi come esplorazione “, immagino un’esplorazione che si espanda a partire da un centro e lì ciclicamente ritorna, rinnovata, per ripartire sempre più lontano contenitrice di Distanza, forse un esplorazione che privilegia la verticalità all’orizzontalità: inutile dirlo, le Suites, le Sonate e Partite, alcune Sonate più tarde, qualche Preludio…
e il fuoco di artificio, anche questo esplorazione, in cui il virtuosismo tecnico, la coloratura, l’effetto particolare e altre diavolerie hanno finalmente sfogo non più limitate dalla obiettiva economia strumentale di un ensemble o peggio ancora di un orchestra : Paganini, un certo Listz … tanta parte dello sperimentalismo contemporaneo… è un’esplorazione lineare, che vorrebbe fare il punto di una località, raramente rinnovandosi dall’interno, che cambia località quando l’inventario é finito.
In questo lavoro, tutto è cominciato con l’attrazione per/verso i suoni armonici sovracuti, l’immagine sonora di un corpo che si assottiglia senza perdere forza, trasformando la massa in energia, sospesa, senza direzione. Lì si stabilisce una “gravità dell’alto” che libera una quantità di relazioni che le sottostanno, altrimenti incomprensibili se classificate per la base, se cioè consideriamo i termini della relazione come singole unità separate. L’immagine e la pratica del sovracuto per me, sono la continuità della colonna d’aria che attraversa strumentista e strumento senza ostruzioni, un canale privilegiato che si lascia alle spalle gli infiniti solchi dell’esperienza meccanica. Il suono armonico è allo stesso tempo condizionato e differente dalla fondamentale di provenienza: crescendo, allontanandosi in senso verticale da questa, entra progressivamente in una zona di nessuno, dove provenienze molteplici conducono ad un unico risultato.
Parallelamente...
l’intervallo fra un suono e un altro, può essere catalogato una volta per tutte solo in un ambito astratto, nel quale i due suoni sono considerati identici per timbro intensità e durata; preferisco pensare allo spazio fra due suoni, il suo volume, sempre di più mi interessa lo spazio all’interno di un suono, quello spazio fra gli estremi che sfuggendo alle definizioni indica un possibile o l t r e .
Leggo l ’attrazione che l’armonico sovracuto esercita su di me, come la massima espressione di questo spazio: l’intera colonna armonica vibra silenziosamente fino a lì, e lì si svela aprendosi nel suono, come all’ orbita di Urano è necessario tutto il sistema solare, a sua volta contenuto…
azzardo un 7.1 al celebre Tractatus - ciò che si tace, risuona -
Poi c’è l’umano, suono/uomo, le infinite pieghe di questa colonna d’aria, i fori, i passaggi, il modificarsi dello spazio interno in un’infinità di casi particolari, esperienze, solchi, grumi di materia che se considerati separatamente non sono più in grado di conservare la loro provenienza.
Ho sentito il corpo interno dello strumento come uno spazio rituale, depositario di un – essere suono – a me precedentemente sconosciuto: l’ascolto è sbocciato in un’enorme periferia che potrebbe arrivare ad esprimere il potente vuoto comune, fra e nelle cose.
Era, a questo punto, necessario tentare una mappa dei nuovi territori, in un’unitaria visione che potesse semplificandoli, contenere i differenti luoghi e indicare le eventuali relazioni fra loro: ma non tutto quello che incontravo mi interessava, solo i luoghi portatori d’infinito, i luoghi incrocio, contenitori di Distanza, da organizzare in una cosmofonia di trame e parentele, alla riscoperta di ciò che abitualmente si considera casuale. Dopo un lungo lavoro di ricerca quasi sistematico, la presunta casualità è stata di molto ridotta e la tecnica strumentale rinnovata. Il nuovo strumento era pronto.
Contemporaneamente cresceva il cammino della durata che, in questo caso, in primo luogo è un’esplorazione dello spazio interno strumentale, con l’identificazione successiva di luoghi aventi la loro area di irradiazione, ognuno con la propria orbita intersecantesi con l’orbita degli altri : si creò una segmentazione lineare delle singole orbite, all’interno di una rappresentazione concentrica in cui tutto continua a ritornare non più lo stesso, perchè nel frattempo altrove si è modificato.
Poi c’è lo stratificarsi di durate differenti, o meglio, la segmentazione verticale di un unico Tempo sul fondo, per poter continuare a stargli vicino senza venirne ammutolito.
Infine, dall’alto della colonna armonica, in relazione di continuità con la loro origine poetico/fisica, vengono per filiazioni successive, le 4 parti del ciclo, i 7 luoghi all’interno di ognuna di queste, le stanze di ogni luogo, i metri, le durate, le gravità, le attrazioni, le rifrazioni…
a produrre uno stato oscillatorio generale che, arrivando al pentagramma, lentamente cristallizza.
Il pezzo diventa lo strumento/suono/musica che in questa unità vorrebbe ritrovare la presenza (contenuto) del vuoto (contenente) dal quale proviene: un’ offerta all’ascolto, come possibilità di avvicinarsi alla percezione in assenza di forma.
Ma cos’è questo vuoto/tutto che inseguo?
Forse un fare centro della distanza: nel caso specifico il sassofono proviene da una tradizione d’improvvisatori e per questo contiene in sé una quantità di anime individuali, solistiche, che ne hanno fatto il mezzo d’espressione della loro visione del mondo; per ognuno di questi uno stile, un suono differenti, molto differenti. Nella pratica strumentale, lo stile, viene scavato giorno per giorno, è il luogo, un solco, in cui confluiscono l’esperienza e gli umori, è la macina in cui tutto viene triturato, trasformato in una certa qualità di vissuto. Nello stile le singole esperienze rimandano costantemente al tutto per essere apprezzate come tali: J. Coltrane é sempre riconoscibile ma ogni sua singola improvvisazione è diversa. Leggo lo stile come un unico pezzo enormemente dilatato nel tempo, il tempo di una vita, le cui caratteristiche pur essendo relativamente poche, sono state selezionate per continuare ad autorigenerarsi.
Penso alla continua permutazione della sequenza di caratteristiche su più piani sovrapposti: non tutto è generante in questo processo, l’attenzione sarà la rete che cattura, dello scorrere, le sovrapposizioni cardine, in qualche modo memoria anche di quelle lasciate passare.
Mi avvicino così a quello di cui volevo fosse fatto il pezzo, il pezzo in quanto pezzo, per l’appunto è una parte: mi interessava fare un pezzo che al tempo stesso fosse un intero, uno “stile” strumentale, il suono/forma di una cosmofonia autorigenerantesi. Il punto d’ascolto ha continuato a sottrarsi tutte le volte che credevo di averlo raggiunto e oggi mi sembra di poter dire di aver isolato un’area all’interno della quale questo punto ha viaggiato. Una rete, un ricevitore, nessuna legge quindi, piuttosto un sovrapporsi di totalità che non determinano nulla se non l’emozione della possibilità di una fase fra queste : una parabola.
-- Guida all'ascolto: necessità di interrogare il cielo (circa 70’)
.. intuire la dispiegata forma della luce I parte
.. affrettandosi verso il centro della luce risonante II parte
.. silenzio dei padri III parte
.. sottile veicolo dell’anima IV parte
Il titolo del ciclo è tratto da Colombo di F. Holderlin [Mandruzzato, Adelphi 769]
I, II, III, IV, sono rispettivamente i frammenti 145,111,16 e 20 degli Oracoli Caldaici [Tonelli, Coliseum]
I - intuire la dispiegata forma della luce (18:15) commissionata da “Musik der Jahrhunderte” di Stuttgart nel 1997
una esplorazione senza meta, sul filo di un canto l’andare incontro ai luoghi che verranno, a tutti i luoghi, contemporaneamente. Lì, il corpo/strumento può diventare tramite d’accesso ad un ascolto che quasi arriva a trascendere l’orecchio: percepire le differenti qualità del vibrare, sentire la soglia che razionalmente separa un suono da una luce da un’emozione da un ricordo e, attraverso l’orientamento sulla soglia intuire la possibile continuità fra queste.
Aperto, nessuna direzionalità, semplicemente ascolto il vivere di un mondo.
Vorrebbe essere il precipitato del lavoro di questi anni: trovatomi solo, di fronte all’ umana precarietà di questi suoni, la necessità di ascoltarli e il riflettere sul perché di questa necessità.
È un interrogare la distanza che portano con sé, – nucleo vivente – del suono che lì traspare.
Lento. L’aprirsi di un mondo risonante, in cui nulla vada perso.
II… affrettandosi verso il centro della luce risonante (20:36)
la stabilità di I comincia a flettersi in una accelerazione centripeta, le posizioni diventano luoghi-qualità, un albero genealogico, una compresenza come distanza manifesta: il proliferare di queste filazioni porta ad una graduale trasformazione del suono; sempre più evidente è il formarsi di una direzionalità.
Ogni luogo entra a far parte di una catena di luoghi che tende a trasformare in movimento unico la statica frammentarietà delle posizioni. Qui si tenta un allineamento (Maeshow quel raggio di sole al solstizio d’inverno), la ricerca del cardine comune a posizioni differenti, che possa inanellare anche luoghi molto distanti fra loro.
III… silenzio dei padri (15:27)
quei luoghi in cui la forma prova una specie di mancamento, dove l’evidenza dei corpi si perde, i riferimenti diventano sottili e lo spazio dominante: un suono che arrivi a parlare del silenzio, a comprendere il silenzio - poi il respiro, come un ragno col suo filo fare vela sul vuoto…
IV… sottile veicolo dell’anima (11:50)
… un filo ascendente che orienta dall’interno, la scelta formale a monte; fa leva sulla continuità di una frequenza supposta che si manifesta per rifrazione in una sequenza di spazi, posizioni differenti, interpretabili in relazione al luogo formale che stanno attraversando.
L’immagine: c’era un grande albero, ne vedevo il tronco, la sua base e la sua determinazione, non avevo una visione complessiva dell’albero, solo tronco e tronco, poi l’aprirsi di una possibilità, un ramo, la sua forza, solo la sua parte iniziale e il proseguire del tronco ancora interrotto, ancora e ancora, diventare ramo a sua volta e la spinta verticale aprendosi media all’orizzonte sempre più nella successiva apertura dei rami principali, secondari, fino a una moltitudine d’inclinazioni solitarie, in bilico fra attrazione terrestre e solare.
Terz’ultimo, penultimo e in parte ultimo movimento del IV, sono forse la materializzazione finale di questo tronco raggiunto per un cammino inverso, dalle inclinazioni solitarie al tronco, la materializzazione della sua (invisibile) forza.»
[CD - GIORGIO NETTI: necessità d'interrogare il cielo - Patrick Stadler/Sx – Kairos Music 0015058KAI – 2019]
[CD • \"necessità d'interrogare il cielo\" - Marcus Weiss, sax - Durian 2003]
[CD • Saxophone spaces - Lars Mlekusch/sax - con musiche di L.Berio, J.Lee, H.Kyburz, W.Heiniger, G.Netti - Edition Zeitklang EZ-38040 - 2008]
Necessità D Interrogare Il Cielo
Nella tua zona non abbiamo trovato un riparatore. Per segnalare un riparatore premi qui