«Modus Mutandi
Sei asserzioni attorno alla mia opera
1) Per un compositore contemporaneo è difficile concepire lo “stile” come una categoria pura ed incorrotta, profondamente radicata nel sociale, e soprattutto universale, che stia a monte dell’atto creativo. Oggi ci troviamo piuttosto nella condizione di animali affamati di bellezza che rovistano in una immensa discarica, dove tutti gli “stili” si mescolano, dove tutte le “culture” si confondono, dove tutte le “tradizioni” si irrigidiscono e diventano fortezze stantie da difendere ad ogni costo. Stile, cultura e tradizione sono parole che una volta messe al plurale perdono la loro peculiarità più importante: l’universalità; e cambiano profondamente significato. Sono concetti che una volta trasformati da humus nel quale radicare e crescere, da nutrimento per far vivere la propria opera, in oggetti da governare e da manipolare, si prosciugano diventando meri simulacri di ciò che erano, fossili, fragili esoscheletri senza vita che continuiamo a chiamare col nome di ciò cui somigliano. Nel momento in cui si accinge a comporre, dunque, un musicista deve anzitutto darsi delle regole per organizzare l’immensa accozzaglia di possibilità che si trova davanti. Deve creare un mondo finto, governato da leggi finte, che però funzioni e respiri come quello vero. Deve, come il Dottor Frankenstein, infondere vita e movimento nella materia inanimata utilizzando i pezzi che il passato ha lasciato sul suo cammino. E allora, come in un grottesco “Arcimboldo”, non importa la funzione originaria: non importa se quelle che erano le dita di una mano ora siano i capelli, se quella che era una milza ora sia una bocca rubizza, e se al posto degli occhi ci siano due ravanelli. L’importante è che il “mostro” funzioni, cammini, parli, emozioni.
2) Modus mutandi è un divertimento musicale strutturato come un tema con variazioni. Scrivendo questo pezzo mi sono proposto di esplorare le possibilità di cinque diverse “configurazioni modali” con spirito puramente ludico e leggero, lasciando vivere senza alcuna limitazione tutte le evocazioni “culturali” che tali modi facevano emergere. I modi sono i seguenti: a. modo 1°: do – re – mib b. modo 2°: reb – fa – sol – lab c. modo 3°: mi – fa# - la – si – do# d. modo 4°: sol – la – sib – dob – re – mi e. modo 5°: fa# - sol# - la – si – do# - re – mi# I modi più chiaramente evocativi sono il 3° e il 5° che si basano rispettivamente sulla scala pentafonica (scala originaria di moltissime tradizioni musicali del mondo) e sulla scala minore armonica (che nasce dalla sovrapposizione della triade fondamentale, e della settima di sensibile nel modo minore). Il 4° ci porta, con la sua doppia terza maggiore/minore (se leggiamo Dob come Si bequadro), e con l’assenza di un 7° grado (la qual cosa rende implicitamente plagale la conclusione della scala) in un’atmosfera molto vicina al jazz. 1° e 2° sono rispettivamente i “germi” del modo minore e del modo maggiore “Lidio” (con il 4° grado alzato), quest’ultimo usato frequentemente nella musica popolare del sud Italia. Se il passaggio da un modo all’altro risulta dapprima duro (e la linea del sax esaspera tale durezza in un gioco schizofrenico di cambi di umore), già dalla seconda ripetizione acquista un valore “semantico” divenendo parte del linguaggio. Nel corso del pezzo, poi, ci si abitua a queste mutazioni e le si aspetta, finché, nell’ultima variazione, la successione dei modi, ormai divenuta tematica, viene impiegata come serie di cluster a sostegno della linea a forte carattere melodico interpretata dal sax, quasi fosse la base armonica di uno standard jazz.
3) L’organo è un’enorme, austera gabbia da cui è fuggita una canna impazzita, una canna che improvvisamente si mette a fare cose che (singolarmente) le altre canne non possono fare: cresce, diminuisce, vibra, articola, forza il suono, glissa. Questo pezzo di metallo, staccatosi dal somiere originario – di legno - e installatosi in un nuovo “somiere” umano – di carne -, prende coscienza, prova i suoni, si diverte, gode dei cinque modi messi a disposizione dal demiurgo come ne godrebbe un bambino. Li prova e li riprova finché prendono vita tra le orecchie degli ascoltatori come evocazioni di un vissuto musicale personale: …gregoriano, jazz, musica nepalese, la colonna sonora di qualche film, il canto di un uccello, il pezzo del nostro autore preferito, il rumore dei tergicristalli della vecchia auto di papà. L’enorme e potente Re della Chiesa, l’ordinatore per eccellenza, mal sopporta questa insubordinazione e dapprima reagisce con divina stizza; poi si mette maestosamente
all’opera per dare senso e coerenza alle sventate esternazioni del tubo ribelle. L’organo è mastodontico, il suo incedere è rigido e ineluttabile: non può seguire il sax nel suo delirante volo, ma può organizzare e stabilizzare regalando peso e fermezza a figure che sembravano sfuggire ad ogni tentativo di (organ)izzazione. L’organo, per l'appunto, organizza e costringe i movimenti del sax entro una forma. I due strumenti così vivono in simbiosi; dalla loro unione nasce la struttura, che permette ai suoni di divenire frasi, e alle frasi di sbocciare in musica.
4) Tentare di scardinare il tactus attraverso la scrittura tradizionale è praticamente impossibile, poiché tutte le figure ritmiche, anche quelle più complesse, sono riconducibili a frazioni di un tactus. Anzi, più ci si allontana da una pulsazione, più si dimostra che, nella musica, alla fine è sempre detta pulsazione che governa. A volte essa sembra perdersi (grazie anche, magari, alla generosa acustica di una chiesa), ma è sempre ben presente nella testa degli interpreti, e, prima o poi, torna a farsi sentire. Va detto che i concetti di tactus e di tempo metronomico non sono sovrapponibili (anche se per brevi tratti possono sembrarlo); mentre il tempo metronomico infatti è oggettivo e per sua natura “scientifico” (misura e definisce la musica nel suo aspetto temporale), il tactus è elastico, segue l’andamento agogico del brano così come una strada segue le dolci – e magari impercettibili – variazioni di pendenza del suolo. Esso diventa così uno dei tanti strumenti che concorrono alla natura fortemente comunicativa dell’evento musicale.
5) Sessanta di metronomo non è un metronomo qualunque. Porta anzi con se un forte peso culturale. Si potrebbe forse dire che il mondo intero pulsa a sessanta di metronomo. E ci sono luoghi silenziosi dove questa pulsazione diventa udibile sotto forma del ticchettio di un orologio. Gran parte della nostra vita è scandita da questo ritmo, le attese, i count down, il display di un apparecchio che lampeggia ai limiti del nostro campo visivo, le gare di velocità, eccetera…. Modus Mutandi, dopo alcune oscillazioni, a partire da battuta 52 si stabilizza definitivamente su sessanta di metronomo. Non è una scelta casuale, o prettamente musicale. La musica si “sincronizza” volontariamente con il “respiro corto” del mondo, si conforma a questo immenso reticolato temporale che vanifica e rinnega tutto quello che accade tra un tic e un tac; e, dopo un’aspra lotta, cede. Allora rimangono solo lamenti; mesti glissati, che, chiusi nella loro fibrillante gabbia di trentaduesimi, si spengono disperati.
6) La musica è anzitutto ambiguità. L’ambiguità è lo spazio vuoto, la terra di nessuno nella quale possono germogliare le immagini, le emozioni e, soprattutto, le intuizioni degli ascoltatori. Quando si tenta di descrivere un brano musicale non si può ignorare questo importante aspetto. Ogni volta che si cerca di dare un’immagine oggettiva, positiva e stabile di un brano (con un’analisi o con una descrizione) la musica sfugge veloce, e rimaniamo - frastornati di parole - con la nostra stupida descrizione in mano, fredda come un pesce morto. Ho deciso dunque, vista la mia avversione per i pesci morti e il mio amore per la musica, di descrivere Modus Mutandi, facendo semplici asserzioni, senza svilupparle, saltando velocemente da un punto di vista all’altro, in modo da creare - come nel cinema - attraverso una sequenza di istantanee, l’illusione del movimento e della vita. Ma, come appunto nel cinema, di illusione si tratta. La musica è quella suonata. E quando si suona, vive. E quando vive, cresce e cambia. Non è detto che, in un impeto di ribellione adolescenziale, oggi Modus Mutandi, tra le mani degli interpreti, non si diverta a negare tutto quello avete appena letto, facendosi grasse risate alle mie spalle.»