Per saxofono baritono solo, il brano è stato composto in occasione della call "Scrivere per la strage silenziosa del Mediterraneo" lanciata da SIMC.
«18 luglio 1816, nel mare al largo della Mauritania, il brigantino Argus avvista un relitto alla deriva. Ciò che appare, avvicinandosi, è una visione orrenda: i corpi sfiniti e consunti di quindici uomini ostaggio delle onde, della fame e della sete, aggrappati alle assi di legno, ammassati gli uni sugli altri. Tredici giorni prima la nave francese Medusa si era arenata nelle sabbie africane d’Arguin. Quando fu chiaro che non sarebbe stato possibile disincagliarla i passeggeri abbandonarono la nave a bordo di sei scialuppe ma 147 persone “eccedenti” vennero dirottate su una zattera di fortuna, lunga 20 metri e larga 7, che inizialmente fu trainata dalle scialuppe ma poi, quando per il peso iniziò ad affondare, venne lasciata alla sua sorte. Solo quindici naufraghi, come già detto, erano ancora vivi quando la zattera venne avvistata. La notizia fece scandalo, ci si chiese come i naufraghi fossero riusciti a sopravvivere ed emerse una terribile storia di sofferenza, soprusi, violenza, suicidi, risse, persino cannibalismo, nonché di comandanti messi al vertice chissà come e capaci di governare solo la frusta e fare vuoti discorsi.
Appare fin troppo ovvio, ricordando questa storia e guardando il famoso dipinto "La Zattera della Medusa" di Théodore Géricault (1818-19) oggi al Louvre, andare con la mente alle continue “tragedie del mare” di cui si sente parlare oggi, come se il tempo non fosse passato e la civiltà non si fosse minimamente evoluta (certe fotografie di corpi morti riversi sulla spiaggia sono la moderna incarnazione di tanti quadri che hanno eternizzato il dolore e la violenza). Le storie di bambini, donne e uomini innocenti che muoiono in mare perché fuggono da realtà terribili e si trovano in mano a scafisti senza scrupoli, pagando anche l’incapacità degli Stati che si ritengono civili di affrontare efficacemente questa emergenza, sono una vergogna incancellabile.»
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