Riferimento: Iacopini, Pier Paolo
Concertino d’estate, per Saxofono contralto e quartetto d’archi
Concertino d'estate per saxofono contralto, due violini, viola, violoncello a Pier Paolo Iacopini
I. Concertino
II. Scena campestre con passaggio di fauno
III. Perpetuum
Della composizione esiste anche la versione con Orchestra.
Alessandro Annunziata mi ha chiesto di scrivere qualche riga di presentazione del suo lavoro per saxofono e quartetto d’archi, ora elaborato anche nella versione orchestrale di concerto vero e proprio, intitolato Concertino d’estate e a me dedicato.
La richiesta, dopo la sorpresa iniziale, mi ha fatto molto piacere perché mi sembra, così, di essere considerato come quelle amiche a cui per un improvviso impegno si affida il figlio piccolo… ma solo per qualche ora.
Solo dopo un po’ mentre rifletto, mi accorgo che non ho troppa voglia di scrivere del Concertino e non so perché. Penso piuttosto ai nostri incontri, quando ci vediamo per lavorare alle sue composizioni per saxofono, o anche solamente per il piacere di stare insieme ad ascoltare musica. Siamo amici e ridiamo spesso del fatto che lui, ormai eseguito in mezzo mondo, viene spesso definito qui da noi ancora “un giovane compositore di talento”, cioè come uno che, vivendo in un eterna situazione di apprendistato, è ancora nell’attesa metafisica di quella maturazione artistica che, dispettosamente, sembra sempre spostarsi inafferrabile nel tempo. Lo sfotto molto per questa cosa, ma poi il discorso diventa serio. Allora io gli dico: “Fanno così perché non riescono ad incasellare la tua musica nel già conosciuto; quello che non riescono a controllare col pregiudizio lo alterano pensandolo frutto di inesperienza, ma in realtà non riescono ad immobilizzarti nelle definizioni razionali di una avanguardia storica che ha fallito. E’ perché non sopportano il ‘continuo divenire’, questa tua libertà dai dogmi che cerca e poi trova ogni volta la sua strada per esprimere il movimento infinito della mente…“.
E così via dicendo si fa ricerca, si pensa; e allora, spesso o forse sempre, il pensiero di entrambi corre con un po’ di tristezza al comune amico, il compositore Dimitri Nicolau, a quanto il suo modo di essere, il suo pensiero teorico, la sua ricerca e vicenda personale siano stati così importanti per la nostra storia e formazione musicale.
Ad Alessandro dico spesso che quanto la musica di Dimitri Nicolau veniva da un corpo di uomo grande, ben piantato, forte, e avesse al fondo una tonalità di colore scuro, tanto lui è invece sottile ed elegante, il suo colore musicale è chiaro e luminoso come la sua intelligenza musicale.
E così, forse adesso ho capito perché non mi interessa scrivere sul Concertino d’estate.
Quello che mi interessa, da interprete, è dire qualcosa del mio rapporto con la sua musica perché del Concertino, che non ha ancora avuto la sua ‘prima’, mi manca il vissuto emozionale dell’esecuzione in pubblico.
Giustamente Nicolau diceva che la musica si suona e si ascolta e solo dopo, eventualmente, se ne può parlare e fare una ricerca sui contenuti. Al contrario, far precedere all’ascolto di questa bellissima e difficile composizione la sua descrizione, non aggiungerebbe niente alla ricerca di quel ‘senso’ che solo un ascolto emotivamente partecipe può dare, ricerca che sono certo essere stata per Alessandro il motivo stesso della sua composizione, la forza che l’ha generata. Quindi preferisco cercare di raccontare le mie sensazioni nell’affrontarla.
Penso alla coerenza della struttura… Ed ecco che torna imponente tutto il lavoro teorico di Dimitri Nicolau: per lui la forma, uno dei problemi teorici più grandi della composizione musicale insieme a quello del rapporto col tempo, è soltanto un elegante vestito esterno che può nascondere un inganno o celare la verità. “Il contenuto vero della forma è la realtà umana del compositore“. Semplice, no? Mica tanto… ma Alessandro conosce questi pensieri perfettamente, infatti erano amici.
Ma lo stesso non è facile. Non è facile trovare la via per l’interpretazione dei suoi lavori; difficile la complessità della sua scrittura e, appunto, l’articolato movimento della forma compositiva, che richiede all’interprete una maturazione, un lavoro di fantasia che è proprio di quando ci si accosta ad autori importanti.
La sua bellezza è una forma musicale che si muove sicura e originale senza pensieri teorici precostituiti: siano essi di natura letteraria, filosofica o di fisica acustica.
Nettissimo il suo non fare affidamento alle forme compositive del passato, ma solo a una ricerca di movimento, partendo esclusivamente da un rapporto affettivo coi suoni.
Non c’è evidentemente in lui la paura della mancanza di idee. C’è invece, e gli va riconosciuto, il coraggio di rinunciare alle regole che non hanno mai creato capolavori. Questo a fronte di una sapienza e qualità di scrittura solidissime.
Ma al di là del suo sapersi sporcare le mani di musica, si percepisce in lui che il faro è sempre quel certo tipo di ‘narrazione’ non naturalistica che è costitutiva del suo essere musicista in mezzo agli altri esseri umani. Il suo coraggio di essere umanisticamente contemporaneo dà vita alla forma.
E’ questa è la grande lezione che Alessandro ha saputo apprendere da Dimitri Nicolau. Tutto è vissuto…
Ora mi fermo un attimo, non so se quello che ho scritto gli sembrerà adatto alla presentazione del suo Concertino. Ma a me non veniva di parlarne. Mi è venuto molto meglio raccontare il suo coraggio nell’essere liberamente artista e nel fare della vita il tempo per una ricerca personale. Così come è stato per il nostro comune amico.
Forse però, alla fine, una cosa voglio raccontarla del Concertino: chi l’ascolterà o lo suonerà troverà all’inizio, dopo una premessa in forma di cadenza, un canto.
Fatto di pochissime note, spunta con apparente semplicità dalle trasparenti armonie degli archi. E’ un canto dolce ma forte, che sembra una affermazione di esistenza. E’ un canto che rivendica identità e libertà, ma che immediatamente sfocia in una danza, una danza che muove gli archi ad una dialettica amorosa con il solista. Una danza che è felicità nello stare assieme agli altri con la propria libertà.
Con forza allora mi torna ancora viva nella mente l’umanità di Dimitri. Eravamo amici.
E così vedo la tua capacità di artista di aver saputo prendere senza rubare.
(Roma, dicembre 2015, Pier Paolo Iacopini)
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