di Colombo, Eugenio

Cinque danze alla fine della notte

S/A T - 2021 - Musica Practica by Voglino Editrice - MP135

Dettagli opera

I. Spagnoletta (Soprano and Tenor Saxophones)

II. Andante, non troppo veloce (Soprano and Tenor Saxophones)

III. Marcato pesante (Alto and Tenor Saxophones)

IV. Larghetto, Allegro feroce (Soprano and Tenor Saxophones)

V. Alla bulgarese (Alto and Tenor Saxophones)

Dedicato a Gianni Lenoci.

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Commento all'opera

Introduzione

«Alla fine della notte è un film di Salvatore Piscicelli del 2003.

In un imprecisato momento della primavera 2002 Salvatore mi ha parlato del film e mi ha consegnato la sceneggiatura per comporre le musiche. Ero felice di questa possibilità e di collaborare nuovamente con lui, ma non mi resi veramente conto dei tempi. A dicembre Salvatore mi informò che il film era praticamente pronto; l’idea era di registrare le musiche nella prima parte di gennaio.

AIUTO!

Avevo preso un po’ di appunti e buttato giù qualche idea, ma il tutto un po’ vago.

In una manciata di giorni e qualche notte ho scritto il repertorio necessario, circa 22  pezzi (alcuni brevi, altri brevissimi, altri più corposi). Ho coinvolto, come esecutori, i musicisti con cui collaboravo in quel periodo: Vittorio Gallo – sax, Adolfo La Volpe – chitarra, Pierpaolo Martino – basso, Daniele Abbinante – batteria, Gianni Lenoci – pianoforte e tastiere varie.

Cinque danze alla fine della notte – Suite per due saxofoni – è frutto di un adattamento e riscrittura di cinque temi del film. Ho utilizzato: sax alto e sax tenore oppure sax soprano e sax tenore prevedendo in ogni brano brevi momenti d’improvvisazione.

Sento la necessità di raccontare la genesi particolare del primo brano della Suite, la Spagnoletta; per gli altri quattro brani è andato tutto liscio.

Nella registrazione per il film il brano è per un trio jazz (pianoforte, contrabbasso e batteria), su un tempo medio, tutto dedicato all’estro e alla genialità di Gianni Lenoci, che lo ha suonato principalmente su una melodica per bambini passando poi al pianoforte e fischiando la melodia che contemporaneamente suonava con la mano destra.

Adattarlo per questa raccolta mi ha messo più in difficoltà degli altri pezzi: fare swing con due sax senza sezione ritmica è affare serio, si rischia continuamente di produrre materiale pesante e pochissimo swingante! Per cui, dopo vari tentativi abortiti, ho trascritto il tutto (melodia e armonia) in un ambito dal sapore seicentesco.» Eugenio Colombo

 

«1. SPAGNOLETTA

La suite strumentale si apre con quello che scopriremo essere il brano più “classico” tra i cinque proposti, per forma, struttura e materiale di elaborazione motivica. O forse sarebbe più corretto definirlo barocco. Si tratta infatti di un esplicito richiamo alla Pavane de Spaigne, spagnoletta che Praetorius inserì tra branle, bourrée, balletti, correnti e volte in Danze per Tersicore del 1612. Fedele alla citazione, Colombo sceglie l’impianto metrico in 6/4 e affida l’apertura (sezione A) a una cellula dal ritmo puntato, emblema[1]tica delle musiche per danza in virtù della sua qualità intrinseca di spinta al movimento.

Un impulso in avanti, non troppo rapido.

Come scrive Praetorius nel Syntagma Musicum (terzo tomo, Termini musici), inseren[1]dola tra le danze con passi e figure fisse, la «Pavane […] è comunemente adibita a condurre danze lente e sostenute». Si tratta della danza aristocratica per eccellenza, lenta e solenne, molto in voga in tutte le corti italiane ed europee nel XVI secolo. La Pavana rappresenta infatti una sorta di passeggiata cerimoniale di apertura di un ballo a corte. È una danza bassa,

contrapposta alle danze saltate, considerate meno nobili. Per queste sue caratteristiche era anche molto impiegata per accompagnare l’ingresso in chiesa della sposa.

Tipica delle forme di danza anche la regolarità del fraseggio e la reiterazione dei periodi con dinamiche opposte. Nella sezione B, con un repentino cambio di metro (4/4), il barocco rievocato è più chiaramente di epoca posteriore, di matrice bachiana, come risulta evidente nella scrittura di carattere imitativo, sebbene l’imitazione non segua l’ambito tonale dell’antecedente e così facendo genera un effetto quasi di “pattinamento” tra le aree tonali, effetto che a sua volta richiama alla mente alcune soluzioni alla Rota. La sezione C mantiene l’idea delle imitazioni, sfrutta i disegni del moto parallelo e del contrario e, soprattutto, si caratterizza per un’articolazione più rapida (in semicrome), rappresentando l’acme architettonico del brano. Non a caso è la sezione collocata proprio alla metà perfetta della composizione, prima di ridistendere il tempo nelle crome della sezione D, cui è affidato il ruolo di condurre all’open (E) per l’improvvisazione. La chiusura della sezione F, che riprende la figurazione puntata, riporta alla danza di corte e alla sua caratteristica alternanza di frasi in forte e piano.

Sul versante delle scelte verticali, per arricchire lo spessore generale della composizione e consentire soluzioni melodiche e armoniche in un linguaggio di sapore vintage – ma stavolta non certamente seicentesco come il resto dell’impianto generale –, l’intero brano è costruito sulla griglia armonica di Just Friends, celebre canzone americana degli anni Trenta che i jazzisti staccavano su un tempo veloce e swingato. I più esperti rintracceranno anche echi di Charlie Parker, Chet Baker e Frank Zappa in citazioni abilmente nascoste nella trama sonora.» Prefazione di Luigia Berti


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