Cinque studi per un folklore immaginario per ogni sorta di sassofono.
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Cinque studi per un folklore immaginario per ogni sorta di sassofono.
«Studi per saxofono solo frutto di una lunga e meditata gestazione.»
Prefazione
«Il tradizionale corso di sax, in uso nei conservatori italiani fino a pochi anni fa, prevedeva un percorso scandito da studi tecnico-melodici, troppo spesso solo tecnici, mirato a condurre l’allievo al superamento degli esami di 5° e 7° anno.
In questo non si distingueva molto dai programmi per gli altri strumenti, anzi, salvo qualche rara eccezione, gli studi erano e sono tratti da metodi per oboe, clarinetto, talvolta violino, ecc.
Con una sostanziale differenza: per questi strumenti gli studi sono propedeutici a una letteratura sette[1]ottocentesca, mentre il repertorio saxofonistico è quasi esclusivamente del ’900. Non abbiamo repertorio barocco, classico o romantico e possiamo solo contare su qualche trascrizione.
Per altro, la musica che ha reso popolare il nostro strumento è il jazz, che fino a poco tempo fa non era riconosciuto come musica “colta” e quindi non si studiava in conservatorio.
Oggi, in un conservatorio oramai trasformato in università, i libri di studi in uso si rivelano sempre più obsoleti e lontani da quello che è la musica suonata. Allo stesso tempo sono convinto che studiare su un libro o su un altro cambi poco e, alla fine, se si studia seriamente qualsiasi testo, va bene: i programmi sono come scatole vuote da riempire con il rapporto profondo ed esclusivo che corre tra insegnante e allievo.
Ritengo che, in genere, sia dedicata poca attenzione alla espressività, si privilegia piuttosto un virtuosismo di stampo romantico. Questo approccio è oggi particolarmente limitativo in una società come la nostra, sempre più cosmopolita e con una sostanziale accettazione della presenza di culture non necessariamente riferibili all’eurocentrismo.
Queste sono le motivazioni alla base del presente lavoro, per cui ho privilegiato tempi lenti ed espressivi.» Eugenio Colombo
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Note dell’autore
«Tutti i cinque brani sono tratti da composizioni più ampie, pensate per organici molto diversi.
Il Primo studio deriva dalla 3a parte di Toxon («arco» in greco antico), una mia composizione di ampio respiro in quattro movimenti del 1994, ispirata alla descrizione dell’arco di Ulisse che precede la strage dei Proci, scritta per tre voci femminili, sax, contrabbasso e batteria.
Il Secondo studio è una riscrittura di Devi Durga (divinità femminile dell’induismo), un brano di una dozzina di anni fa, scritto originariamente per quartetto formato da sax soprano, piano, contrab[1]basso e batteria.
Il Terzo studio è una rielaborazione di un brano per orchestra che ha avuto molti rimaneggiamenti e conseguentemente diversi titoli, ne ricordo due: Pera Palace Hotel e Topkapi, due luoghi simbolo di Istanbul. Il tempo di 10/8 è un tipico ritmo turco.
Alla base del Quarto studio c’è Sabra. Nel lontanissimo 1986 partecipai a un concorso di compo[1]sizione con questo brano. «Sabra» è un’antica parola di origine semita, usata anche dagli arabi, che significa sostanzialmente «paziente», «tenace». «Sabra» sono così chiamati gli ebrei nati in Palestina e «sabra» è il fico d’India: a modo loro tenaci entrambi.
Il Quinto studio è basato su una scala di 5 suoni F# - G - B - C - D, derivata dal modo pelog di 7 suoni, una delle due scale principali della musica gamelan indonesiana. L’ho utilizzato in diverse occasioni: per performance solistiche e per gruppi di ensemble di strumenti a fiato.
Ringrazio la collega Giovanna Pazienza che mi ha spinto a vincere la pigrizia e a scrivere questi studi.»
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