Ha iniziato studiando Chitarra e Violino e successivamente ha compiuto gli studi in Composizione al Conservatorio di Frosinone sotto la guida di Daniel Paris.
È stato membro fondatore del Gruppo Canzoniere del Lazio (1973-1979), col quale ha adattato e rivisitato musica e canzoni popolari originarie del Sud Italia e del Mediterraneo. Con questo gruppo ha prodotto sei LP ed è stato in tour in diversi paesi, particolarmente in Africa, dove ha avuto l’opportunità di scambiare esperienze con significativi artisti africani in Somalia, Tanzania, Mozambico, Zambia e Kenia. In seguito ha scritto una favola in musica: Ondina e ha preso parte al progetto Carnascialia, creato da Pasquale Minieri e Giorgio Vivaldi, con molti artisti appartenenti all’area culturale della musica mediterranea.
Ha portato la sua musica in concerto in diversi paesi tra i quali Grecia, Germania, Ungheria, Nigeria e Mozambico con un nuovo gruppo (Gramigna).
Nei primi anni Ottanta ha lavorato come compositore, orchestratore, produttore e violinista con molti cantanti italiani, tra i quali Domenico Modugno, Antonello Venditti, Francesco De Gregori, Maria Carta, Enzo Gragnaniello, Enzo Avitabile, Marivana, Santo e Zappa ed altri.
Ha scritto musica per il teatro con registi come Otello Sarzi, Marco Parodi, Carlo Cecchi. La sua musica è stata utilizzata nelle coreografie di Fiorenza D’Alessandro, Elena Mainoni, Adriana Borriello. Nel 1984 ha deciso di focalizzare la sua attività nella musica per il cinema, lavorando con registi come Carlo Carlei, Maurizio Nichetti, Carlo Lizzani, Sandro Baldoni, Luciano Manuzzi, Beppe Cino, Nello Correale, Daniele Segre, Gianfranco Albano, Paolo Poeti, Clive Donner, Rober Markowitz, Roger Young, Joseph Sargent, Carlos Saura, componendo musica per oltre 70 film.
È stato direttore artistico di Cinemusica, un festival sulla musica per il cinema, ed è coinvolto in un gruppo di film makers impegnati nel salvare e restaurare film del Neorealismo italiano.
-- Intervista di Andrea Natale per http://www.colonnesonore.net.
«L'artista dei due mondi. Intervista al compositore Carlo Siliotto in occasione dei suoi 30 anni di attività con la musica per film (1984 – 2014)
Ogni infanzia televisiva ha i suoi punti di riferimento musicale. E se i miei, come quelli di molti altri della mia generazione, erano le sigle degli anime giapponesi di Alessandra Valeri Manera e Ninni Carucci (cantate da Cristina D'Avena) - trasmessi con grande successo di white share nella fascia medio pomeridiana dalle reti Fininvest - la sera incominciavano a farsi strada gli sceneggiati TV e i film-vérité. Nonostante i sei anni d'età e l'analfabetismo ancora in essere, ricordo la miniserie TV Mino – Il piccolo alpino, coproduzione italo-tedesca in 4 puntate (6 in Germania Ovest) andata in onda sulla Rai tra il 28 dicembre 1986 e il 18 gennaio '87. Rammento vagamente alcune sequenze del film (penso di aver visto tutte le quattro puntate) ma ricordo soprattutto la musica dei titoli di testa e coda, che mi rimase impressa indelebilmente nella memoria e che non ho mai più dimenticato.
Ventidue anni dopo ho scoperto casualmente chi ne era l'autore.
Oggi, sempre con quella musica che mi risuona in testa, per un curioso e insondabile disegno concepito nelle alte e incorruttibili sfere, incontro via Skype da Marina del Rey (Los Angeles) proprio questo misterioso autore per un'intervista alla carriera.
Sto parlando naturalmente di Carlo Siliotto, romano di nascita, un compositore autentico, geniale e poliedrico, che mi piace definire “artista dei due mondi” e che andiamo a conoscere meglio con questa intervista.
AN: Quest'anno festeggi 30 anni di carriera con la musica per film, ma in realtà sappiamo che sei un musicista molto più longevo... Le tue radici infatti affondano nella musica popolare ed etnica, della quale sei stato ricercatore, arrangiatore e interprete. Quando hai iniziato a occupartene e quali sono state le tappe più significative del tuo percorso con questo genere di musica?
CS: Nel 1960, quando avevo dieci anni, mia madre mi portò al Festival dei Due Mondi di Spoleto ove, presso il Teatro Caio Melisso, si esibiva un coro Gospel che cantava la “Black Nativity” e io mi ritrovai in piedi sul seggiolino a battere le mani a tempo con tutto il resto del pubblico. Lì c'è stata quella che potremmo definire biblicamente “un'unzione”... Per il mio compleanno, tra la bicicletta e la chitarra, ho scelto naturalmente la chitarra. Poi c'è stata una trasmissione televisiva con Virgilio Savona, uno dei membri del Quartetto Cetra, nella quale si parlava di armonia, spiegando cos'era, e anche quello per me è stato un momento illuminante. Ho cominciato dunque a studiare chitarra, iniziando anche a guadagnarmi qualcosa con la musica. Nei primi anni Settanta ho conosciuto Sandro Portelli, professore dell'Università di Roma, membro del Nuovo Canzoniere Italiano che – sull'esempio di Diego Carpitella e Alan Lomax - aveva condotto un'ampia ricerca sulla musica popolare in Italia. Sandro mi fece sentire il materiale che avevano raccolto nel Lazio. Ho messo insieme un gruppo che, oltre alla semplice riproposta della musica tradizionale, potesse sviluppare qualcosa di nuovo, come era successo in America con il jazz.
Mi sono occupato anche di ricerca etnomusicologica sul campo, andando per le osterie con un registratore per raccogliere nuovi canti popolari.
Ho fatto poi esperienze di ricerca con Giovanna Marini anche al di fuori del Lazio.
AN: Si può affermare che la tua musica per film mantenga dunque sempre nell'ispirazione e anche negli sviluppi formali un legame con la musica popolare che hai tanto studiato e praticato?
CS: Sì, può capitare quando la musica popolare viene citata proprio per esigenze filmiche e quindi per il suo stretto legame con i contenuti di una pellicola; la definirei musica tradizionale perché il termine etnico è molto brutto e improprio. Nella musica tradizionale ci sono tuttavia delle soluzioni che possono essere armoniche o melodiche o ritmiche che si imparano sul campo praticandola e non nei Conservatori (ove pure ho studiato a Frosinone con Daniele Paris) e che poi ci si ritrova ad applicare con un'orchestra sinfonica. Quindi c'è l'etichetta geografica ma anche una serie di codici nella musica di tradizione che le appartengono da usare e sviluppare in un contesto differente, con un organico colto e relativi codici.
AN: Musica popolare ma anche pop. È nota la tua collaborazione in veste di arrangiatore, esecutore e produttore con artisti di musica leggera quali Domenico Modugno, Antonello Venditti, Francesco De Gregori, tanto per citare i più celebri...
CS: Già col Canzoniere del Lazio, dal secondo disco in poi, la nostra tendenza era rivolta più verso il genere pop-jazz. Io poi ho avuto l'occasione di collaborare con numerosi artisti e in particolare il mio primo lavoro importante è stato per il 33 giri della cantautrice e attrice sarda Maria Carta, dal titolo Haidiridiridiridiridinni, per il quale scrissi degli arrangiamenti per pezzi popolari sardi e fu una prima incursione della musica tradizionale mista a strumenti appartenenti a organici classici. Poi con Antonello ho collaborato per Sotto il segno dei pesci del 1978 suonando il violino (come già nel precedente Quando verrà Natale del 1974). Un disco cui tengo molto è Miei compagni di viaggio di Mia Martini, album dal vivo del 1983 al Teatro Ciak di Milano, per il quale ho curato la produzione artistica e gli arrangiamenti insieme a Mark Harris. Frattanto proseguivo i miei studi in Conservatorio e poi giravo il mondo con il Canzoniere del Lazio; in particolare mi ricordo della straordinaria esperienza in Africa ove suonavamo di fronte alle autorità e poi nei villaggi più sperduti...
AN: A riprova della tua poliedricità, hai praticato anche musica antica con diversi ensembles. Di cosa ti sei occupato in particolare?
CS: Sì, è successo che, mentre studiavo violino, arrivò a Roma Sergio Siminovich (che nel 1979 divenne direttore artistico del Centro Italiano di Musica Antica di Roma) che aveva messo insieme un ensemble di musica barocca e la mia insegnante mi propose di farne parte suonando il violino. Ho fatto un paio di stagioni con Siminovich ed è stata un'esperienza interessante perché trovo molte affinità tra la musica barocca e quella popolare. Poi però si è conclusa perché c'era una prassi esecutiva troppo rigorosamente filologica a discapito dell'espressività della musica, che personalmente non condividevo.
AN: Prima ancora che nel cinema, la tua musica “applicata” è stata scritta per il teatro, sia drammaturgia che musiche di scena per balletti. Ci parli un po' di questa esperienza?
CS: Sono stato molto fortunato perché, nella povertà del teatro, ho sempre avuto la fortuna di avere i musicisti in scena, anche se non numerosi. Mi piaceva molto lavorare in teatro e fare le prove con gli strumentisti. Me ne sono occupato per dieci anni circa, dal 1973-74 e fino a quando ho iniziato a occuparmi di cinema. Ho lavorato per le regie di Carlo Cecchi - una delle figure di spicco del teatro di innovazione in Italia – e, negli anni Ottanta, con Marco Parodi ed Ennio Coltorti, con il quale ricordo di aver collaborato a Buonanotte ai sognatori, interpretato da Amanda Sandrelli, con cinque/sei musicisti in scena; era una sorta di circo molto divertente.
AN: Nel 1979 esce il tuo album Ondina...
CS: Ondina ha una storia interessante perché ho scritto questo progetto musicale per Fabrizio De André e Dori Ghezzi. Poi loro furono rapiti in Sardegna e io mi ritrovai con questo progetto e con un contratto con la Polygram. Feci un'estate per conto mio e portai a compimento il disco. Nel 1983 produssi per la DDD Marivana, album di debutto di Marivana Viscuso, cantante che ho scelto dopo aver provinato cento ragazze in tutta Italia. Oggi Marivana vive e lavora negli Stati Uniti.
AN: E veniamo al fatidico 1984, quando hai deciso di dedicarti totalmente alla musica per film. Hai iniziato dalla TV con Il passo falso di Paolo Poeti, con Michele Placido come protagonista...
CS: Nel 1981 è nato mio figlio e dovevo crescerlo e mantenerlo. Nel contempo però riflettevo sul fatto che io volevo fare il musicista di cinema. Allora mi sono dato tre anni di tempo e ho rifiutato tutti i lavori quali arrangiamento, direzione d'orchestra, produzione e dovevo fare in modo che il mio pane quotidiano fosse legato al cinema. Dopo un anno e mezzo avevo perso un lavoro in teatro e, tramite un amico che lavorava alla Fonit Cetra, conobbi Paolo Poeti che stava girando un film ambientato a Venezia, con Michele Placido come protagonista, e che voleva una musica che avesse un suono diverso dalla solita veneziana di Vivaldi o dell'Anonimo. Proprio in quel periodo avevo messo insieme una serie di pezzi suonati con la mandòla ferrarese e con il mandoloncello ed era proprio quello che stava cercando lui.
AN: Al cinema invece hai debuttato con Chi mi aiuta? di Valerio Zecca, sempre nel 1984...
CS: Valerio era un mio amico che si era occupato tanto di giornalismo musicale e ha esordito con questo lungometraggio drammatico con protagonisti Luca Barbareschi e Anna Melato. Passavamo le notti dentro la moviola...
AN: Il primo film per la TV per il quale hai potuto lavorare con un'orchestra più ampia è stato Mino – Il piccolo alpino di Gianfranco Albano. Siamo nel 1986. Cosa ricordi di questo importante film?
CS: Prima di Mino con Gianfranco Albano avevo fatto A viso coperto, un bellissimo film che descriveva il rapporto tra un rapitore e un bambino rapito. Negli anni Ottanta in televisione c'erano i Sandokan o i grandi sceneggiati educativi, mentre allora, grazie alle idee di un produttore come Sergio Silva, l'ideatore de La Piovra, incominciarono a realizzare film che narravano un'epica basata sulla realtà. Mino era molto ambìto e c'erano diversi competitori per la realizzazione della colonna sonora. Pur essendo televisione, il film aveva uno sguardo grande, con centinaia di comparse. Si formò un'accoppiata tra il regista Gianfranco Albano e Gino Bartolini, il suo montatore. Siccome Albano era sempre impegnato con altri film, eravamo io e Bartolini ad effettuare il montaggio del film con i punti musica. Da Gianfranco e da Gino ho imparato tutto, sono stati la mia scuola. Il film l'ho visto una volta in sala di montaggio, poi io avevo il mio taccuino e il mio cronometro e andavo in moviola a prendermi i tempi; quando andavo in moviola con la musica registrata era sempre una forte agitazione perché c'era il pericolo di non aver preso i tempi giusti. Ricordo che, a tal proposito, una volta Egisto Macchi mi disse che lui quando entrava in moviola “se la faceva sempre sotto” e questo mi consolò perché, se succedeva a un grande compositore come lui che aveva alle spalle una lunga carriera, potevo stare tranquillo. L'orchestra per Mino me la mise insieme Riccardo Pellegrino, mio maestro di violino, che era uno dei più importanti violinisti jazz in circolazione.
AN: Un altro anno chiave per te e la tua carriera di compositore per il cinema è il 1993. Approda infatti negli Stati Uniti La corsa dell'innocente di Carlo Carlei, snobbato in Italia, ma vero e proprio cult oltreoceano, ove viene acquistato e distribuito dalla MGM e dalla Walt Disney...
CS: Era un film molto bello ma troppo avanti filmicamente per l'Italia; Carlo girava già coi dolly, coi carrelli, con gli effetti e in Italia non gli perdonarono che uno parlasse di 'ndrangheta in modo cinematografico e non realistico, non piacque la forma del film, venne completamente bocciato dalla nostra critica. Invece tutti nell'ambiente cinematografico americano avevano visto questo film e lo apprezzarono parecchio e io stesso ne ho tratto una visibilità enorme anche perché, in un'ora e quaranta di film, c'erano sì e no venti minuti di dialoghi... La mia fortuna fu un articolo di Deborah Young su Variety che parlava della musica del film; la gente era incuriosita. Poi l'anno successivo, sempre con Carlo, abbiamo fatto Fluke e mi sono fermato per otto mesi in America. Fino al 2004 non mi sono trasferito a vivere là, ma facevo avanti e indietro quattro/cinque volte l'anno, anche per pochissimi giorni, come quando nel 2000 ho musicato Paul of Tarsus di Roger Young.
AN: Come cambiano le modalità di produzione di una colonna sonora dall'Italia agli Stati Uniti?
CS: Negli Stati Uniti la colonna sonora è parte delle voci di produzione, ci pensa il produttore; in Italia la produzione del film e la musica sono due sconosciuti, c'è la totale assenza della produzione nel momento della musica, che viene gestita da editori musicali legati al produttore al massimo da un rapporto di fiducia. Per certi versi l'assenza della produzione lascia più libertà al compositore; gli editori mettono i soldi e solo raramente assumono un ruolo creativo oltre che produttivo. A volte vengo scelto o comunque proposto dal regista, a volte la produzione, specie se il film è costoso, mette bocca e il regista raramente entra in contrasto col suo produttore, salvo binomi artistici consolidati, come Tornatore-Morricone. Diciamo che negli Stati Uniti, per quanto riguarda la TV, decide tutto il produttore; in Italia dipende dal carisma del regista. Nella TV americana si fanno tantissimi soldi ma a discapito della qualità artistica della musica, tutta uguale e standardizzata, priva di autentica creatività, naturalmente con le dovute eccezioni.
AN: Altro progetto importante nel quale sei stato coinvolto negli anni Novanta dalla nascente Lux Vide è stata la serie della Bibbia televisiva. Hai musicato tre film: David nel 1997, Esther nel 1999 e Paul of Tarsus nel 2000. Che genere di linguaggio hai utilizzato per i vari film?
CS: Ci sono due filoni, quello biblico italo-americano e quello più religioso-italiano. Il lavoro della Bibbia televisiva è stato fatto con consulenti delle tre religioni monoteiste, affinché la lettura della Bibbia fosse universale. Per David ho incontrato il regista Robert Markowitz che è venuto da me con una sola scena del film, quando il profeta Samuele riceve da Dio l'incarico di comunicare a re Saul di uccidere tutti gli Amaleciti. Non conoscevo bene la Bibbia, mi son messo a leggere la sceneggiatura e mi sono accorto che era necessario prendere appunti per il gran numero di personaggi raffigurati; ho cercato di mettermi all'interno dei personaggi interpretando il loro pensiero. Un altro film di tipo religioso che mi è piaciuto molto è stato Lourdes di Lodovico Gasparini, prodotto dalla Lux nel 2000. Il produttore Luca Bernabei, pur essendo un credente, fece questo film senza alcuna velleità di convertire nessuno, ma con lo scopo di raccontare un fenomeno straordinario e misterioso che ancora oggi affascina milioni di persone.
AN: Quasi come una sorta di nostalgico “ritorno alle origini”, nel 2003 hai realizzato il componimento 'O patrone d'o cane', pubblicato da Rai Trade ed eseguito dalla Bulgarian Symphony Orchestra di Sofia. Nelle liner notes del CD esprimi “un grande senso di riconoscenza nei confronti della musica popolare che tanto mi ha dato”. Un'opera scritta “di getto” e da ascoltare “tutta di un fiato”. Ce ne parli?
CS: Un compositore di musica applicata - siccome vive di ispirazione riflessa, ovvero che deriva da qualcosa prodotto da qualcuno che era stato ispirato prima di te – ha bisogno anche di fermarsi. Ho riflettuto su dove mi trovassi senza i film e quale fosse la mia musica al di fuori del cinema. Mi sono trovato a combinare la musica popolare che tanto ho praticato con la musica orchestrale-sinfonica. Mi sono preso un paio di mesi sabbatici per ritrovare me stesso, mi alzavo il mattino e scrivevo finché ne avevo voglia e poi smettevo... ne è derivato questo divertimento per orchestra, pianoforte, zampogna e voce per il quale ho scritto i testi con Patrizio Trampetti. Ho scritto tutto di getto senza apportare modifiche. L'ho realizzato con l'orchestra di Sofia e solisti italiani per gli strumenti popolari.
AN: Per le tue produzioni, hai lavorato con diverse orchestre e, specie negli ultimi vent'anni, c'è stato uno spostamento nell'Est europeo e, sia per il cinema che per la televisione, il tuo principale esecutore è stata la Bulgarian Symphony Orchestra di Sofia. Cosa ci puoi dire circa il tuo rapporto professionale e artistico con questa importante compagine orchestrale?
CS: Con questa orchestra ho fatto più di ottanta film. Ho un rapporto con gli strumentisti quasi come se fossimo un gruppo rock; non chiamo gli strumenti con il nome dello strumento ma dello strumentista, li chiamo per nome. Ci conosciamo molto bene e sono stato io il primo a registrare con questa orchestra vent'anni fa per La corsa dell'innocente di Carlei.
AN: Siamo nel 2004. Negli USA esce The Punisher, film action tratto dai fumetti della Marvel Comics, con co-protagonista John Travolta, distribuito in Italia dalla Columbia TriStar. Un film che ti ha dato molta visibilità e consensi positivi a livello internazionale...
CS: Ero ritornato in Italia e stavo facendo tanta televisione, mi ero un po' perso e stancato. Mi sono dato un altro ultimatum e mi sono imposto due anni di tempo per tornare in America perché non ce la facevo più a rimanere in Italia; mi sono reso conto che dovevo vivere e non solo “campare”.
Mi arrivò una mail dalla mia agente che mi disse che mi volevano per la musica di The Punisher e mi sembrava assurdo che avessero scelto me per un film d'azione americano. Chiesi di vedere il film senza temp track, poi ho incontrato il regista Jonathan Hensleigh che mi confermò che la produzione si fidava del suo giudizio. Il film era molto pubblicizzato ovunque e mi resi conto che era una pellicola di fortissimo richiamo che mi diede molta notorietà. Non ho letto i fumetti Marvel perché non volevo input intellettuali esterni di diverso tipo e mi sono limitato a guardare il film. L'azione era già contenuta nel film e ho suggerito al regista di stare sul dolore del personaggio cui avevano massacrato la famiglia. Questo colpì molto la critica, il fatto di essere stato dietro l'emozione del personaggio e non l'azione. Le prime otto battute le ho ideate mentre ero in macchina con un amico; gli chiesi di fermarsi per annotarle...
AN: E nel 2006 è la volta di un grande kolossal campione d'incassi, Nomad: The Warrior. Negli USA ti ha procurato una nomination al Golden Globe. Un progetto molto impegnativo che in un certo senso ti ha riportato alla ricerca sul campo che hai condotto in Kazakistan per trovare il giusto sound da imprimere alla colonna sonora. Ci parli di questa monumentale realizzazione?
CS: Questo film è stato uno dei momenti più belli della mia carriera, non tanto per la nomination al premio ma per il fatto che, se uno mi avesse chiesto che film avrei voluto fare, avrei detto un grande film epico nel quale poter usare degli strumenti tradizionali appartenenti a qualche cultura. È un film che mi ha trovato la mia agenzia. Sono andato a un meeting per questo film, sono arrivato in anticipo e così il produttore, nell'attesa degli altri, me ne ha mostrato un trailer. Tornato a casa ho scritto subito un tema. Dopo due settimane sono stato ricontattato e mi hanno mostrato il primo montato largo. Eravamo in 52 a competere per scrivere le musiche di Nomad. Poi ho orchestrato il tema cercando di capire già le possibili varianti e sviluppi (questo me lo ha insegnato Carlo Savina). Ho ascoltato subito una serie di CD di musica kazaka e mi sono messo al lavoro. Sono volato in Kazakistan per conoscere la tradizione locale. La soddisfazione grande per me è stata che quella musica sono proprio io, è la mia musica, ha dentro tutto, rappresenta me e nessun altro. Lo stesso montatore di Nomad mi chiamò poi per The Ramen Girl del 2007, ambientato nella Tokyo moderna.
AN: Parliamo un po' dei registi di lingua spagnola coi quali hai collaborato e stai collaborando negli ultimi anni: Carlos Saura Medrano (spagnolo), Patricia Riggen e Sergio Sanchez Suarez (messicani), Gabriela Tagliavini (argentina), Carlos Moreno (colombiano) e la recentissima collaborazione con Eugenio Derbez (messicano), del quale è appena uscito nelle sale italiane il bellissimo Instructions Not Included (or. No Se Aceptan Devoluciones)...
CS: Mia madre era storicamente originaria dell'Andalusia e ha lavorato per tanti anni all'ambasciata del Venezuela a Roma, quindi ho sempre sentito parlare la lingua spagnola. Non sono mai stato in Spagna da turista ma ci sono andato con Piero Umiliani a Valencia per un convegno sulla musica per film. Il primo è stato Tu que harias por amor per Saura Medrano e poi lo stesso produttore di Nomad mi ha chiamato per La misma luna di Patricia Riggen. Per il film di Eugenio avevano già usato la mia musica come temp e lui mi ha chiesto di essere nei sentimenti della bambina, del padre e degli altri personaggi; ci sono dei momenti in cui la musica diventa più da commedia. Ho avuto molta fiducia da parte di Eugenio. Rispetto alla temp, ho cambiato solo qualche attacco o uscita; mi vedevo col regista una volta alla settimana e poi facevamo conferenze via Skype. Se si sa che ruolo gioca la musica, poi puoi fare quello che vuoi. A me non piace vedere il film con la temp track perché ti condiziona e potresti avere idee diverse.
AN: Cosa ne pensi dell'ispirazione e come vivi il tuo rapporto con la “musa ispiratrice”, ovvero c'è qualcosa che ti ispira in particolare?
CS: Le prime note che ti vengono in testa sono quelle giuste; non so se si possa definire ispirazione, ma di fatto è così. L'ispirazione per me è una scena che mi ispira; siamo tutti artigiani ma quelle prime tre note da qualche parte devono arrivare e ti devono convincere altrimenti è un puro esercizio di orchestrazione. La superiorità della musica rispetto ad altre forme di espressione è che se devo raccontare un dolore e riesco a tradurtelo in musica te lo faccio sentire, non mi serve descrivertelo o mimartelo.
AN: Cos'è per te la musica per immagini?
CS: È l'unico attore che non si vede.
AN: Quali sono i tuoi progetti futuri?
CS: Attualmente sto lavorando con Maurizio Nichetti a un cartone animato su San Francesco e poi c'è nell'aria un progetto americano di cui non voglio parlare per scaramanzia...»
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Per l’evoluzione che la carriera di un compositore può avere consiglio di leggere la sua narrazione in ‘Il mio canzoniere’ https://static1.squarespace.com/static/57633468197aea955e01de13/t/57a12f3c414fb5076df1ce0a/1470181181316/Il_mio_Canzoniere.pdf
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