Per la memoria di ciò che ho vissuto nei miei anni di studio presso il Conservatorio di Salerno, dove, al mio arrivo alla stazione per il primo giorno di lezioni, nessuno seppe rispondermi su dove fosse il Conservatorio, finchè una vecchina disse al bigliettaio del pulmann a cui mi ero rivolto “ma questo cerca il posto dove fanno musica: l’orfanotrofio”. Era cosi risolto l’arcano: uno degli ultimi baluardi in cui vivere la reale dimensione, storica, del Conservatorio «…dove erano accolte le creature “diseredate” perché gli si impartisse un insegnamento manuale (falegname, ciabattino, muratore, scalpellino,..) e uno culturale (la lettura, la scrittura e uno strumento musicale…. – davvero due, perché gli allievi dovevano imparare sia uno strumento a corda per suonare nelle Orchestre che uno a fiato per suonare nelle Bande)». Per il mio Maestro, Luigi Cavallo, il corpo docente, il vicedirettore (Cosimo Prinzo …peste lo colga per quante me ne ha fatte passare a causa dei miei lunghi capelli, ma un amore di comprensione e disponibilità) il monito nel ricordo di un grande come Francesco Florio, era una costante la cui storia mi ha fatto piacere trovare così precisamente narrata da Olga Chieffi nell’articolo intitolato “Francesco Florio e la scuola italiana di sassofono” sul web-magazine www.positanonews.it del 21/11/2008:
«Meno di un secolo fa il sassofono non era conosciuto da nessuno. Solo alcuni musicisti addentro ai misteri dell’orchestra sinfonica fin nelle sue più intime pieghe sapevano dell’esistenza di questo arnese dall’aspetto buffo, parente bastardo del clarinetto. E oggi? Guardiamoci intorno: l’immagine del sax sta dappertutto. Ragazzi, e da qualche tempo anche ragazze che suonano il sax, spille, orecchini, telefoni a forma di sax, riviste di moda piene di sax, pubblicità di profumi, biscotti, automobili, sigarette, whisky, popolate da suonatori di sax. Il sassofono ha oggi il potere di rendere desiderabile qualunque cosa. Come il mendicante che ha vinto la lotteria, il sax ha visto ribaltarsi il suo status: da anonimo a superstar, da rarità a moneta corrente, da oggetto bizzarro a familiare, dalla sua chiusura nei Conservatori di Musica, tra le beghe e le bizze di maestri e professori che, non avendo tradizione esecutiva, e quindi una precettistica, fu protagonista minore di pagine in genere brutte, grigie, povere di fantasia, o nascosto in orchestra senza mai parti melodiche forti e vive, costretto a imitare debolmente l’oboe bucolico o il fagotto nostalgico, sempre con quel suono piccolo, opaco e belante da monsù Travet della compagine sinfonica, all’avvento del jazz, i cui maestri, da Johnny Hodges, a Coleman Hawkins da Harry Carney, a Lester Young, sino a Charlie Parker, Stan Getz, Roscoe Mitchell, azzeccarono subito la fisionomia espressiva e altamente tecnica, del sassofono, oltre che offrire un volto individuale a ciascuno dei tagli dello strumento.
La scuola italiana di saxophono è nata qui a Salerno - una città il cui ambiente musicale che, diviso tra i falsi eredi della leggendaria scuola di musica dell’Orfanotrofio, dagli astucci da tempo chiusi, e i millantati fondatori della piccola New Orleans italiana, è, ai più, purtroppo nota, grazie a certa stampa “tuttologa” e ignorante, unicamente la vernice di superficie, popolata di numerosi falsi miti, che hanno saputo abilmente proporsi, nelle varie epoche, nascondendo sapientemente ogni pochezza tecnica e spirituale ed etica - grazie ad un impavido e coraggioso giovane musicista cilentano, dallo sguardo antico, racchiudente la fierezza e la pienezza del suo mare, Francesco Florio.
Francesco Florio nasce a S. Maria di Castellabate il 6 marzo del 1917. Dai nove anni sino alla maggiore età, fu ospite dell’Orfanotrofio Umberto I, che vantava una tra le massime Scuole di Musica italiane, fondata nel 1819 da Ferdinando IV di Borbone. Poiché questa scuola svolgeva un’intensa attività artistica sul territorio, sia come complesso bandistico che orchestrale, ad ogni studente veniva richiesta una doppia competenza esecutiva, una relativa agli strumenti a corde, un’altra per quelli a fiato. Francesco Florio fu destinato così dall’allora direttore della Scuola Vincenzo Grandino, a seguire i corsi della classe di violino del M° Mario Pagano e a quella di oboe tenuta M° Mario Laureatano. Passato successivamente dal violino alla viola, “per ampiezza di mano” conseguì con quest’ultima il III anno di corso, occupando, inoltre, il posto di terza viola nell’orchestra dell’istituto. Al raggiungimento del compimento inferiore di oboe gli venne assegnato, poi, anche il ruolo di primo oboe della banda. Fu così che, alla sola età 16 anni, capì che il suo futuro poteva essere la musica. A quel tempo, l’aspirazione di ogni fiatista era l’inserimento in una banda militare. Purtroppo, l’oboe non era considerato “prima parte” in questi organici e ciò non gli avrebbe consentito di far carriera. Pensò bene di passare al saxofono, in particolare al tenore, iscrivendosi nel 1933 nella classe di clarinetto del carismatico M° Ciro Fiorillo (in quegli anni l’insegnamento del sax era annesso alla cattedra di clarinetto). Fu lo stesso maestro a consegnare al giovane Florio un sax rudimentale, fornito tra l’altro ancora del doppio portavoce, dando così vita alla sua carriera sassofonistica. L’impostazione dell’epoca prevedeva l’imboccatura con l’impiego del labbro superiore sul bocchino La sua prima intuizione tecnica, sul modello francese, fu quella di apporre gli incisivi sul dorso del bocchino e il labbro inferiore piegato al di sotto dell’ancia. Dopo appena una settimana era già primo sax tenore della banda dell’Istituto.
I due anni seguenti di studio intenso, svolti per la maggior parte sui metodi per clarinetto ed oboe, lo portarono a vincere il posto di 1° sax tenore della Banda Presidiaria di Firenze diretta dal M° Arturo Rodriguez con l’esecuzione del concerto per clarinetto e orchestra di Franz Weber. Ma, Franco Florio non passerà mai effettivo nella compagine fiorentina poiché il precedente vincitore Tiero era ancora il titolare. Un riconoscimento ben più importante, però, lo aspettava: Arturo Rodriguez, sull’onda d’eco delle sue performances gli affidò nel 1937 il ruolo di maestro concertatore della sezione ance, ed in seguito di vice-maestro.
Sempre pronto a dimostrare le sue qualità e a mettersi in gioco, partecipò nel 1939 al concorso indetto dalla banda Presidiaria di Trieste. Pur vincendo, dopo una combattutissima sfida a suon di passi e studi con il quotato saxofonista Nassisi , dopo sei mesi di prova non venne riconfermato. Con tutta probabilità furono decisive le influenti conoscenze del “rivale” Nassisi all’interno della compagine militare. La sua fierezza di carattere non gli permise, però, di ritornare a casa sconfitto: Bando di concorso per bassotuba nella Fanfara della G.I.L. ed eccolo eseguire il celebre passo della Gazza Ladra che gli regala il posto. E’ il 1940 e l’Italia entra in guerra. Richiamato alle armi, parte per la Campagna in Africa Settentrionale e in Albania guadagnandosi, tra l’altro, sul campo la Croce al Merito di Guerra per atti eroici al comando di una colonna di autocarri.
Fatto prigioniero dalle truppe tedesche, il 10 settembre del 1943, venne deportato in Germania, chiuso in un campo di prigionia e salvo grazie al suo talento musicale, al quale, fortunatamente, le camicie brune non furono indifferenti, rientrando in patria, tra mille peripezie, solo alla fine del conflitto.
Francesco Florio non possiede più neanche lo strumento per riprendere a studiare, ma un suo amico, il trombettista Luigi Francavilla, a sua volta prigioniero dell’esercito alleato, avendo in animo di allestire una formazione da ballo, gli regala un sax alto. Francavilla, di stanza alla ballroom “Tersicore” – l’attuale teatro San Genesio - aveva sapientemente sottratto diverse partiture dell’orchestrina jazz del reggimento, particolare importante perché, proprio avvicinando la musica afro-americana, Franco Florio scopre con sorpresa che diversa notazione è scritta al di sopra dell’estensione consueta , suoni “fuori registro”, che i saxofonisti americani erano in grado di produrre. Inizia, così, lo studio e lo sviluppo della tecnica dei bis-acuti, che lo porterà a redigere tavole e studi con le posizioni relative da lui sperimentate.
Con l’abbandono di Salerno da parte delle forze alleate, il lavoro con l’orchestra è sempre più raro, un momento difficile, tanto più che ora c’è da pensare anche al sostentamento della moglie Giuseppina Fiorillo, figlia del suo maestro di clarinetto – allora i maestri riservavano le proprie figlie ai migliori allievi della loro scuola - e al primo figlio, Antonio (che ha seguito mirabilmente le orme del padre ) al quale si aggiungeranno, negli anni, Silvano, Ciro, Lucio, Rosaria e Tosca. Decide, così, di porsi nuovamente in gioco e di assumere il ruolo di Maestro di Banda in un paesino dell’entroterra cilentano, Cicerale, un lavoro pagato in “natura”. Nel 1950, quando l’allora Direttore dell’Orfanotrofio Umberto I, unitamente ad Alfonso Menna, pensò bene di riorganizzare la banda con alunni ed ex studenti, a Franco Florio venne affidato il duplice ruolo di 1° sax della compagine e l’insegnamento di teoria e solfeggio e di saxofono. A partire da questo momento cominciò a pensare che lo strumento dovesse avere maggior considerazione e aspirare al suo insegnamento in Conservatorio. La sua convinzione era talmente forte che, quando nel 1953, la Scuola di Musica dell’Orfanotrofio, sotto la direzione di Domenico D’Ascoli, divenne Liceo Musicale pareggiato “Giuseppe Martucci”, rifiutò l’insegnamento, per così dire, “sicuro” di teoria e solfeggio a favore della cattedra, non ancora riconosciuta, di saxofono.
Intanto, iniziò un fitto epistolario con i colleghi francesi, in particolare con Marcel Mule, conosciuto a Napoli in occasione del celeberrimo concerto con il suo quartetto. Venendo a conoscenza, dallo stesso, del programma di studi del corso di saxofono adottato presso il Conservatorio di Parigi, stilò anch’egli un programma di studi originale, non più, quindi, ricavato dal “saccheggio” degli studi per flauto, oboe, violino e clarinetto. Con lo scopo, poi, di ottenere il riconoscimento della cattedra, incise alcuni concerti e studi e inviò la registrazione, con precise relazioni annesse, al Ministero della Pubblica Istruzione.
In previsione dell’imminente passaggio a sezione staccata del Conservatorio di Napoli, nel 1959 il ministero decise di ispezionare il liceo salernitano. Tra le diverse classi di strumento esaminate, quella di sax non venne però presa minimamente in considerazione.
Florio, a dir poco risentito, scrisse immediatamente una lettera al Ministero della Pubblica Istruzione, esaltando nella stessa il ruolo di questo nuovo strumento in orchestra, nella musica solistica e da camera, degno inoltre di occupare, oramai, un posto in pianta stabile nei Conservatori italiani. Due mesi dopo, il Maestro Jacopo Napoli, direttore del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano e allora Ispettore dei conservatori d’Italia, fu inviato ad ispezionare nuovamente il liceo, prestando particolare attenzione proprio alla classe di saxofono. Il concerto di Henri Tommasi e alcuni passi tratti da altri concerti eseguiti dallo stesso Florio con “ammaliante e rotondissimo suono” come recitano cronache dell’epoca, convinsero pienamente il M° Napoli. Nel complimentarsi con lui lo stesso gli assegnò l’incarico con la seguente motivazione: "Il M° Francesco Florio, insegnante di Sassofono presso il Liceo Musicale Martucci di Salerno (attualmente in corso di costituzione in Sezione staccata del Conservatorio di Napoli) è meritevole di particolare segnalazione ed interesse, poiché questo insegnamento è l’unico riconosciuto negli Istituti Governativi Italiani. La classe del M° Florio fu ispezionata dal sottoscritto nel 1959 per incarico del Ministero della Pubblica Istruzione”.
Franco Florio rappresenta una rara avis, simbolo di una specchiata onestà intellettuale ed estetica, racchiusa e finalizzata alla più assoluta devozione nei confronti della Musica. Il ricordo del suo suono è per me, purtroppo, unicamente legato ad una vecchia audio-cassetta, fortunosamente registrata: lì una pagina in cui si raggiunge quell’equilibrio sottilissimo tra la fluidità orizzontale del brano, in cui sparisce il vecchio concetto del tempo metronomico, che si trasforma in catalizzatore di fenomeni e la densità timbrica di un suono iridescente e omogeneo, curato spasmodicamente nel dettaglio, nella nuance sottratto per sempre alle lusinghe di un mero edonismo musicale, quale il vibrato alla francese, per renderlo entità e fondamento della scuola italiana di sax. Sino alla sua scomparsa, avvenuta il 21 novembre del 1993, si è dedicato all’insegnamento, continuando a comporre e cercando di accendere una scintilla negli allievi, la volontà di andare oltre il suono, il ritmo, oltre se stessi, inseguendo quel profumo del rischio e dell’azzardo che rende memorabile un’esecuzione e la vita stessa. »
Nella tua zona non abbiamo trovato un riparatore. Per segnalare un riparatore premi qui